Dall’America l’annuncio ufficiale: gli scienziati statunitensi sono riusciti a generare più energia di quella necessaria per produrla
Nel campo delle risorse energetiche è stata annunciata una svolta fondamentale, che potrebbe cambiare completamente il modo in cui viene prodotta l’elettricità.
A diffondere la buona notizia è il dipartimento dell’Energia del governo degli Stati Uniti, che ha dichiarato ufficialmente lo strepitoso risultato ottenuto verso la fine del 2022, per la prima volta, dagli scienziati del California’s Lawrence Livermore National Laboratory, che sono riusciti a realizzare un processo di fusione nucleare capace di produrre più energia di quella necessaria a innescare la reazione.
Si tratta di una svolta fondamentale in un campo che affascina gli scienziati ormai da decenni e che potrebbe cambiare completamente le intere prospettive dell’umanità.
L’esperimento del Nif è fondamentale perché nel mondo esistono diversi laboratori e start up che inseguono il sogno di realizzare la fusione nucleare, cioè di riprodurre il processo che fa brillare le stelle, ma in piccolo e in modo controllato.
La fusione nucleare è di fatto il processo inverso della fissione: invece di scindere un nucleo, si combinano i nuclei di due o più atomi, producendo una fonte sicura e affidabile che crea poche emissioni e un piccolo numero di scorie a bassa radioattività, che hanno un minimo impatto sull’ambiente.
E allora oggi in tanti si chiedono: “Ma davvero la fusione nucleare renderà l’energia accessibile a tutti, consentendoci di non usare più combustibili fossili?”.
“Per centrare questo ambizioso obiettivo ci vorranno ancora parecchi anni” – spiega John Ploeg, Co-Head of Esg Research di PGIM Fixed Income.
In effetti tutti gli scienziati sono d’accordo nel dire che “non si tratta di un compito da poco: anche nei migliori dei casi, quando nel 2030 saremo in grado di produrre energia in questo modo, saranno infatti necessari decenni per costruire la prima generazione di impianti e altri decenni ancora prima che la fusione rappresenti una quota rilevante nel mix energetico”.
Una certezza è che la domanda di elettricità continuerà a crescere, guardando agli scenari allineati con gli obiettivi di Parigi, si stima che la richiesta raddoppierà entro il 2050.
Ma se anche si decidesse di essere molto ottimisti, immaginando di trovare una soluzione immediata a tutti questi problemi, la fusione rappresenterebbe solo il 20% circa del consumo di energia a livello globale, rimanendo di scarso aiuto per il restante 80%. PGIM prende l’esempio dei trasporti, che oggi rappresentano oltre il 25% del consumo energetico: nel 2020 il 90% di questo consumo proveniva ancora da prodotti petroliferi, solo l’1% dall’elettricità. Certo, l’elettrificazione sta facendo passi da gigante, con alcune grandi città come Oslo, Tokyo e Los Angeles che si sono impegnate per avere trasporti pubblici completamente elettrici entro il 2035, ma questo non basta. Si tratta ancora di un segmento del mercato sotto investito: secondo il report dell’Agenzia Internazionale dell’energia gli investimenti dovranno raddoppiare entro il 2030 se l’ambizione è quella di vedere cambiamenti concreti.
Nel frattempo però non è necessario abbattersi: se la fusione nucleare si trova ancora all’inizio del suo percorso, le fonti energetiche rinnovabili guadagnano spazio e stanno apportando impatti positivi ben definiti verso la decarbonizzazione.
Francesco Castellini