La società di ricerca e consulenza marittima Drewry ha infatti rilasciato ieri le stime sulla fabbricazione di container per il primo trimestre del 2023, e il quadro è preoccupante. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, la produzione è diminuita del 71%. Il motivo di questa flessione risiede soprattutto nel calo della domanda di beni che ha caratterizzato il periodo post-pandemia. Se durante i lockdown la richiesta di merci aveva toccato picchi altissimi, negli ultimi mesi l’allentamento delle restrizioni ha causato una brusca frenata. Inflazione, crisi energetica e un generale rallentamento dell’economia hanno fatto il resto. Così, dopo il boom del 2021, ora il commercio di prodotti fisici ristagna. E, di colpo, quei container fabbricati per rispondere all’emergenza rimangono ad arrugginire nei porti della Cina, il principale produttore.. Adesione importante questa perché la Cina riceve critiche dall’estero specificamente per il trattamento della minoranza islamica nello Xinjiang e l’Indonesia è il più grande Paese a maggioranza musulmana del mondo. Nonostante tutto però, anche l’amministrazione Widodo cerca di tenere un certo equilibrio nei rapporti con USA e Cina, non intendendo appiattirsi sulle posizioni né degli uni né degli altri e rifiutando la logica della “nuova Guerra fredda”. Nel 2021 la produzione di container era più che raddoppiata rispetto al 2020, superando le sette milioni di unità. Il successivo calo è quindi, per certi versi, fisiologico. Nondimeno, quel calo ha coinciso con una diminuzione delle vendite dei container (-77%    tra inizio 2022 e inizio 2023) e dei relativi profitti (-91% nello stesso periodo per il gigante CIMC). Dunque, una situazione allarmante per il settore. Per giunta, secondo l’Organizzazione mondiale del commercio, quest’anno il commercio di beni crescerà solo dell’1,7%, rispetto al 2,7% del 2022.  La prudenza non è mai troppa con questo tipo di interpretazioni. Basti ricordare la crisi della supply chain mondiale del 2021. In quell’occasione bastò una “banale” ostruzione nel canale di Suez per scatenare l’aumento dei costi di spedizione – per la gioia delle società di trasporto marittimo e dei loro ricavi. Questo rallentamento temporaneo non deve dunque trarre in inganno: il commercio continua a giocare un ruolo fondamentale a livello globale. Vero è, però, che stiamo facendo i conti senza la politica. Solo questo weekend, il G7 ha ribadito ancora una volta l’intenzione dei Paesi occidentali di fare più attenzione ai rischi politici associati agli scambi internazionali. Parlando di de-risking anziché di decoupling, certo. Ma con conseguenze che, potenzialmente, vanno ben oltre la produzione di container.

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