Può un vertice internazionale, organizzato a casa tua, trasformarsi in un boomerang politico, creando anche problemi nelle relazioni con i paesi vicini? Lula da Silva non aveva ancora assaporato il gusto amaro della debacle diplomatica, ma la cupola organizzata a Brasilia, che avrebbe dovuto rilanciare l’idea di una politica comune sudamericana, ha dato proprio questa impressione. 

A pregiudicare la reunion, è stato l’abbraccio particolarmente accogliente di Lula al Venezuelano Nicolas Maduro, che ha fatto ritorno in grande stile nei summit regionali dopo l’ostracismo sofferto dai governi di destra degli ultimi anni. Maduro è arrivato a Brasilia il giorno prima dell’incontro e Lula lo ha ricevuto in pompa magna al palazzo presidenziale del Planalto. “Sono molto felice – ha detto il brasiliano nel suo discorso di benvenuta – di ricevere il companheiro Maduro, a cui dico che noi non ci siamo lasciati ingannare dalla narrazione costruita sui difetti della democrazia venezuelana”. La frase ha scatenato una serie di dure reazioni non solo da parte dei partiti di opposizione brasiliani ma anche delle organizzazioni della società civile che da tempo si battono contro le violazioni ai diritti umani del sistema di potere chavista, gestito oggi da Maduro. 

Il conto è arrivato il giorno dopo, durante i discorsi dei leader invitati al vertice. Il primo a prendere la parola è stato il presidente conservatore dell’Uruguay Luis Lacalle Pou. “Siamo esterrefatti da certe dichiarazioni sentite rispetto al Venezuela. Noi crediamo che una cosa è ristabilire le relazioni diplomatiche con un paese vicino, un’altra è far finta di non vedere quello che sta succedendo in quel Paese. Non possiamo avallare questo tentativo di tappare la luna con un dito”. Sulla stessa linea anche l’ecuadoregno Guillermo Lasso, anche lui a guida di un governo di destra. Ancora più pesanti le parole del presidente progressista cileno Gabriel Boric, che ha voluto mettere l’accento sul dramma dei profughi venezuelani, sette milioni di persone emigrate negli ultimi dieci anni, il 90% dei quali negli altri paesi del Sudamerica. “Non possiamo accettare questa negazione della realtà. Io stesso ho potuto vedere il dolore negli occhi e nelle testimonianze di centinaia di migliaia di venezuelani che sono arrivati in Cile”. Il tentativo di “sdoganare” Maduro da parte del padrone di casa è risultato così indigesto e la situazione è peggiorata quando sono state diffuse le immagini dell’aggressione ai danni di una giornalista della Rede Globo da parte di un agente della sicurezza dello stesso Maduro. ”Il dittatore venezuelano – ha scritto la “Folha di Sao Paulo” – tratta in questo modo la stampa nel suo paese: non possiamo permettere che faccia così anche in un paese libero e democratico come il nostro”. 

L’impasse sul Venezuela è arrivata proprio nel giorno in cui il Congresso brasiliano ha votato a favore della mozione presentata dai partiti di centro e di destra sul “marco temporal”, una norma che stabilisce l’impossibilità di creare nuove riserve indigene nel paese. La votazione rappresenta una sconfitta pesante per il governo, già che lo stesso Lula aveva promesso in campagna elettorale che avrebbe dato più terre agli indios nell’ottica di una maggiore protezione della foresta amazzonica. A San Paolo e in altre regioni ci sono state manifestazioni di protesta organizzate dai gruppi di appoggio alla causa indigena.

 Il fatto che a votare il provvedimento siano stati anche deputati di partiti di centro che fanno parte del governo dimostra, inoltre, la fragilità dell’ampia coalizione su cui si regge l’esecutivo. Stesso discorso vale per i decreti legge che hanno ridimensionato il raggio d’azione del ministero dell’ambiente guidato da Marina Silva, a cui è stata sottratta ad esempio la gestione il controllo delle licenze ambientali nelle aree di produzione rurale. A meno di sei mesi dall’inizio del suo mandato, il “Lula 3” appare quindi più debole sia nelle questioni strategiche di politica interna che nelle possibilità di manovra in politica estera. 

Anche la posizione brasiliana sulla guerra in Ucraina, del resto, è apparsa abbastanza ambiguaLula ha condannato l’invasione russa ma ha anche affermato che gli Stati Uniti e l’Europa sono responsabili allo stesso modo dell’escalation militare: ha incontrato a Brasilia il ministro degli esteri russo Lavrov ma non si è seduto al tavolo con Volodomir Zelensky al G7 in Giappone, ha affermato di voler guidare una mediazione di pace ma anche suggerito che Kiev dovrebbe rinunciare definitivamente alla Crimea. Posizioni contraddittorie che hanno in qualche modo minato le sue chances di possibile mediatore tra le parti e scalfito la sua reputazione internazionale. Dovrà fare attenzione in futuro: in politica estera, si sa, quando si vuole accontentare tutti, spesso, si finisce per non accontentare nessuno.   

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