Quando si parla di polarizzazione interna in riferimento ad una comunità nazionale, ci si riferisce a tutta quella serie di comportamenti, credenze, competizioni ideologiche o molto più semplicemente visioni del mondo, che sono in grado di generare conseguenze anche nella politica estera di quel paese, modificando non solo la propria strategia d’azione, ma anche la percezione degli altri attori presenti nello spazio internazionale.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la polarizzazione della società americana non rappresenta certamente un epifenomeno nella grande rete delle relazioni internazionali, bensì un nodo centrale che lega a sé tutte le altre.  L’opinione pubblica americana è costantemente polarizzata sulle principali questioni riguardanti l’interesse nazionale (la difesa nucleare, l’autosufficienza energetica, la lotta al terrorismo, la regolarizzazione dell’intelligenza artificiale ecc.) ma anche gli equilibri mondiali.

Nel mondo contemporaneo, la polarizzazione sta cedendo sempre più il posto ad una radicalizzazione dello spazio politico. Negli anni, i due maggiori partiti americani, il Partito Repubblicano e il Partito Democratico, hanno cercato di estremizzare le rispettive posizioni calamitando il consenso della società americana per mere questioni elettorali. È come se di fronte alla persistente necessità di sentirsi parte di un’identità collettiva esclusiva, i due partiti fossero diventati d’un tratto veri e propri schieramenti, che hanno sostituito le grandi narrazioni ideologiche del passato con un cocktail esplosivo di emotività e partigianeria.

Negli Usa, la polarizzazione interna della società americana ha fatto sentire le sue conseguenze più vibranti in politica estera, con l’elezione di Donald Trump. Per capire di cosa si sta parlando è possibile fare riferimento ad un indicatore piuttosto affidabile come il feeling thermometer, (un tipo di scala analogica visiva che consente agli intervistati di classificare le loro opinioni su un determinato soggetto su una scala da “freddo” a “caldo” come in un reale termometro) che consente di analizzare i dati raccolti dai sondaggi elettorali americani dagli anni sessanta ad oggi.

I sondaggi elettorali dell’American National Election Studies dimostrano come nel corso degli anni sia i democratici che i repubblicani abbiano assunto un sentimento sempre più negativo, l’uno nei confronti dell’altro. Se all’epoca dell’elezione di George H. W. Bush, in media un elettore repubblicano aveva un opinione non particolarmente entusiasta, ma comunque indulgente, nei confronti del rappresentante del partito democratico, e lo stesso poteva dirsi a parti invertite, con il secondo mandato di Barack Obama – quindi prima dell’effetto Trump – il dato crolla drasticamente.

Con l’avvento della presidenza Trump la spaccatura tra gli elettori dei due schieramenti si è radicalizzata ulteriormente, raggiungendo livelli di fanatismo e intolleranza mai visti in passato, nemmeno con il Maccartismo. Tutti quanti abbiamo negli occhi la tragica giornata del 6 gennaio 2021, quando i sostenitori del Presidente degli Stati Uniti d’America uscente Donald Trump, hanno preso d’assalto il palazzo del Campidoglio, sede del Congresso degli Stati Uniti, per contestare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020 e la vittoria di Joe Biden.

Le strategie di destabilizzazione dell’opinione pubblica messe in atto da Trump e il suo frequente ricorso alla post-verità, hanno contribuito a creare un conformismo sociale in cui la radicalizzazione delle opinioni segue un criterio sostanzialmente fideistico. Trump ha portato lo scontro con i democratici in ogni aspetto della vita (dall’abbigliamento al cibo, dalle donne allo sport), pur non essendo lui stesso un autentico conservatore americano.

Costituiti da tante realtà diverse (politiche, economiche, sociali, etniche, religiose) gli Stati Uniti nascono da una spaccatura che è tutt’ora visibile al loro interno. Eppure, la società americana ha sempre lottato per mantenere l’unità, andando in contro a continui cicli di stress-relax che hanno prodotto nel tempo fenomeni sempre più frequenti di esclusione ed inclusione politica bipartisan ed estremizzazioni sempre più destabilizzanti. La lunghissima e sofferta lotta delle comunità afroamericane, iniziata negli anni sessanta, per il conoscimento dei diritti sociali e politici ne è la prova.

L’attuale segmentazione della società americana è dunque riconducibile ad una destabilizzazione avviatasi già nell’ultimo quarto del Novecento, ulteriormente aggravatasi negli anni della Guerra Fredda e con gli attacchi terroristici del’11 settembre 2001.  Nel nostro presente storico, la polarizzazione del confronto politico ha trovato terreno fertile con la pandemia da Covid19 e lo scoppio della guerra in Ucraina, che hanno esasperato all’inverosimile l’ipertensione internazionale della potenza americana.

Tutto ciò ha provocato un corto circuito tra la politica interna e il posizionamento internazionale, acuito anche dal confronto a distanza con la Cina, facendo vacillare l’idea che gli Stati Uniti hanno di sé stessi, quando si definiscono come Nazione-mondo. La polarizzazione affettiva attuale nella società americana, per quanto pesante e gravida di conseguenze, non fa che riflettere le differenze più profonde e nascoste che hanno sempre condizionato gli equilibri interni del Paese. Equilibri che spesso hanno superato il punto di non ritorno, producendo scompensi clamorosi nello scenario globale come è accaduto con la guerra in Iraq, dove l’obiettivo principale dell’invasione, fu la deposizione di Saddam Hussein, a qualsiasi costo.

In Europa, la polarizzazione della società americana è stata spesso percepita come una tendenza dominante da guardare con attenzione, interiorizzare e magari replicare su scala continentale. L’atteggiamento è ovviamente figlio dell’influenza esercitata dagli Usa sul vecchio continente, ma se si osserva con maggiore attenzione, ci si renderà conto che i principali sommovimenti che attraversano in profondità i due grandi partiti americani sono qualitativamente diversi rispetto a ciò che accade in Europa. Ad esempio, in Europa i cleavages  che segnano la discontinuità tra città e campagna hanno un peso minore rispetto a quanto avviene nella società americana, dove alla polarizzazione politica tra Repubblicani e Democratici si somma quella tra vocazione internazionale e dimensione nazionale-rurale. Inoltre, secondo le statistiche l’elettorato democratico, dal punto di vista sociologico e culturale, è composto da persone a basso reddito e scarsa istruzione, soprattutto giovani e donne oltre che minoranze etniche come i latinos e gli afroamericani.

In Europa, invece, la tendenza sembrerebbe invertirsi: i partiti progressisti e liberali hanno tra i loro elettori individui che vantano un livello di istruzione superiore (anche non universitario) e che provengono da diversi livelli di estrazione sociale, incluse le minoranze etniche. E ancora, negli Usa, le principali categorie ideologiche che alimentano il dibattito dell’opinione pubblica sono funzionali al mantenimento di un sistema partitico bipolare e bipolarizzato, espressione a sua volta di un sistema elettorale fortemente maggioritario. Ma se l’enorme macchina della polarizzazione s’inceppasse, gli scenari possibili sarebbero soltanto due. In un primo caso, il consenso diventerebbe davvero unidirezionale (solo per Repubblicani o solo per i Democratici), provocando una “bolla” pronta a scoppiare al primo cigno nero in arrivo.

Nella seconda evenienza, la società americana potrebbe attraversare un repentino “passaggio di stato”. E così, dalla solida sclerotizzazione attuale si passerebbe ad una situazione fluida e altamente instabile che esporrebbe il sistema partitico ad uno shock in grado di danneggiare trasversalmente sia Repubblicani che Democratici.

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