A che punto è la transizione ESG delle imprese italiane? Come è noto, per cambiare effettivamente la situazione, per il bene dell’uomo come per quello del pianeta, è bene che tutti le organizzazioni seguano un percorso di miglioramento nei campi Environmental, Social e Governance, migliorando quindi la propria gestione a livello ambientale, sociale e di governance. Ma com’è la situazione attuale delle imprese del nostro Paese? A dare una fotografia complessiva è l’indagine ESG Outlook di CRIF, così come presentata durante il webinar “ESG: CRIF Outlook e il progetto UNICREDIT”.
L’indagine sulla transizione ESG delle imprese italiane
L’osservatorio di CRIF è partito dall’analisi di un campione composto da 150 mila imprese italiane. Per capire a che punto della transizione ESG situare ogni singola azienda, i ricercatori hanno individuato più di 150 indicatori, così da poter assegnare poi un punteggio finale e oggettivo a ogni impresa (tenendo in ogni caso in considerazione le differenze dettate dal settore d’attività e dalla posizione geografica). In generale, lo studio CRIF ci dice che il 30% delle imprese italiane presenta un livello di adeguatezza ESG elevato, mentre il 60% si ferma a livelli medio bassi. Ancora peggio l’8% delle imprese, per il quale si parla invece di un livello molto basso di adeguatezza ESG.
Guardando alla dimensione delle aziende, si scopre che le PMI sono quelle che sembrano avere bisogno di un supporto maggiore per velocizzare la propria transizione ESG, laddove invece le imprese con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro sono quelle che risultano generalmente più avanti lungo il proprio percorso.
La grande diversità a livello di fattore ambientale
Tra gli indicatori presi in considerazione dai ricercatori ci sono anche quelli relativi al fattore ambientale. Qui i risultati sono stati i più diversi, con una grande eterogeneità sia a livello di settore d’appartenenza che a livello di regione. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, è possibile dire che il 60% delle imprese della Lombardia e del Piemonte vanta un punteggio alto o molto alto per il fattore ambientale, percentuale che è di poco sopra al 50% per le imprese toscane e liguri, e di poco sotto per quelle trentine e friulane. Dall’altra parte della classifica, nelle posizioni peggiori, si trovano le imprese della Val d’Aosta: qui l’89% delle imprese ha uno score basso o molto basso. Si parla invece del 73% per la Sicilia, del 60% per la Puglia, del 59% per la Calabria e del 55% per la Sardegna.
Anche guardando ai settori le differenze sono molto grandi. I settori che vantano il maggior numero di imprese con livelli di adeguatezza ESG molto bassa sono quelli dell’industria chimica (nell’83% dei casi) dell’elettronica (69% dei casi) e dell’agricoltura (67% dei casi). Tra i settori che mostrano un più alto numero di aziende con un buon grado di transizione ESG ci sono invece le imprese immobiliari e di leisure, in entrambi i casi con più del 60% delle imprese con un livello di adeguatezza alto o molto alto.
Il rischio delle imprese di fronte al cambiamento climatico
L’indagine di CRIF è andata a osservare tra le altre cose anche il potenziale impatto economico e finanziario che le diverse aziende potrebbero patire di fronte ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale. Considerando il rischio graduale o cronico, risulta molto esposta una fetta del 16% delle imprese; nel caso del rischio acuto, risulta esposto o molto esposto il 5,9% delle PMI. Come ha spiegato Marco Macellari, Director – Head of Risk Management di CRIF, «dal nostro ESG Outlook, che si contraddistingue per viste originali e multidimensionali che coniugano analisi sulla sostenibilità di imprese, consumatori e immobili, si evince che solo 1 impresa su 3 può dire di essere a un livello avanzato del proprio percorso verso un’economia sostenibile. Questo conferma il ruolo fondamentale della finanza green nell’abilitare prima e accelerare poi questo percorso virtuoso».