Il mondo è cambiato strutturalmente. L’economia si fa meno globale, con politiche che mirano all’autarchia tecnologica ed energetica regionale e che richiederanno maggiori investimenti nelle produzioni locali di tecnologie abilitanti. La crescita esponenziale dei fatturati del cloud o dei semiconduttori ne è la prova: da inizio anno l’S&P500 è stato sostenuto da sette big tech disruptive appartenenti al settore della tecnologia. Per beneficiare dei megatrend, la cui corsa appare inarrestabile, serve posizionarsi al meglio su aziende di qualità in grado di guidare il cambiamento.
Un portafoglio resiliente e redditizio nel medio termine non può prescindere dai trend secolari. Dinamica risultata ancora più evidente nel post pandemia, con il consolidamento di cambiamenti strutturali emersi a seguito della crisi sanitaria. Indubbiamente è necessario cogliere i segnali congiunturali – quali la direzione rialzista dei tassi, l’inflazione e le turbolenze sui listini – che possono suggerire gestioni tattiche di portafoglio, senza però perdere di vista l’orizzonte finale degli investimenti. I trend secolari destinati a modellare il mondo in cui viviamo resistono infatti a ogni circostanza di mercato e, anzi, gli eventi critici succedutisi negli ultimi tre anni li hanno persino rafforzati.
I cambiamenti strutturali che rafforzano i megatrend
I lockdown che si sono succeduti in diverse aree del pianeta e il blocco di intere produzioni per la progressiva carenza di componenti hanno decretato la fine della globalizzazione come la conoscevamo e ridisegnato le catene del valore su base regionale. Le nuove strategie nazionali di segno protezionistico sono chiarissime al riguardo. La combinazione di US Inflation Reduction Act, CHIPS&Science Act e Bipartisan Infrastructure Law, il cui obiettivo è migliorare la competitività, l’innovazione e la produttività delle imprese americane, sta incoraggiando molte aziende statunitensi a rimpatriare la produzione. Sul piatto ci sono 2.000 miliardi di dollari di nuova spesa federale nei prossimi 10 anni. A sua volta, con il Chips Act e il Critical Raw Materials Act, l’Europa punta a raddoppiare la quota di mercato mondiale nel settore dei semiconduttori, portandola dal 10% al 20% almeno entro il 2030. Proprio la produzione di chip è uno dei punti nevralgici: si tratta, infatti, di una componente essenziale per la produzione di pc, veicoli elettrici, elettronica industriale, avanguardia medicale, tecnologia aerospaziale e dispositivi mobile.
Il ruolo chiave della tecnologia
In questa corsa alla sovranità economica, in ogni sua declinazione, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale. E la sua crescita è inarrestabile: parliamo in particolare delle tecnologie abilitanti, in grado di rendere possibili evoluzioni come quella dell’intelligenza artificiale, nella sua ultima versione di IA generativa; o del quantum computer, che stravolge le logiche dell’informatica classica e promette di contribuire alla soluzione di problemi di complessità estrema. Le tecnologie abilitanti sono la chiave anche per raggiungere l’efficienza e la sicurezza energetica e affrontare un problema secolare non più rimandabile come il climate change.
Il settebello delle big tech americane
A Wall Street l’attenzione del primo semestre si è concentrata sul settebello delle big tech: Alphabet, Microsoft, Meta, Apple, Nvidia, Tesla e Amazon. Si tratta di aziende protagoniste della rilocalizzazione delle catene produttive, in grado di cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo dell’IA. È il caso di Nvidia, balzata agli onori della cronaca per il rialzo a due cifre in una seduta (+25%) successivo all’annuncio dei risultati attesi per il trimestre in corso: l’attesa di fatturato ha infatti segnato un aumento del 50% e, per effetto del balzo, il rapporto P/E è passato da 61 a 47. Noto per essere il maggior produttore di schede grafiche per videogame, Nvidia ha raggiunto una capitalizzazione a 12 cifre grazie alla scelta di puntare sui chip usati per allenare l’intelligenza artificiale, di cui oggi possiede il 95% del mercato mondiale. Da inizio anno, i titoli delle sette principali aziende tecnologiche dell’S&P500 hanno guadagnato il 58%, rispetto al 15% circa segnato dall’S&P500 nel suo complesso. Le restanti 493 società del listino sono avanzate poco meno del 3%. Numeri che dimostrano, se ancora ci fossero dubbi, che non si può non essere investiti in tecnologia.