Lascio l’auto e prendo il razzo. Di fronte alla radicalità della transizione elettrica, l’industria della componentistica auto italiana, uno dei nostri vanti, è in grave difficoltà. Cambia il terreno di gioco e molte delle parti che erano necessarie per realizzare il motore endotermico vengono completamente bypassate dall’avvento dell’elettricità. Soffrono le fonderie, soffrono le lavorazioni meccaniche e soffrono le imprese che a loro volta assemblavano sotto-componenti.
Che fare? L’idea che, insieme, il Kilometro Rosso di Bergamo e la società di consulenza Ey stanno portando avanti è quella di favorire la riconversione della fornitura dell’automotive in prodotti da vendere alle aziende dell’areospace e dell’industria della difesa. Per questo motivo per il 12 marzo hanno organizzato a Bergamo un seminario al quale è prevista la partecipazione di un centinaio di imprese. In tanti vogliono capire se questa prospettiva è fondata, se ci sono gli spazi per un clamoroso shift che «salverebbe» dal declino pezzi importanti dell’industria italiana.
Spiega Ivan Losio, partner di Ey: «Il mercato della componentistica diminuirà in maniera sensibile perché nell’elettrico l’Italia non ha competenze specifiche e perché il nuovo motore necessita di un numero minimo di componenti. Noi non siamo presenti nella produzione di batterie e nemmeno nei componenti che vanno nelle stesse batterie, tutte specializzazioni di fatto monopolio dei cinesi». Il risultato è che molti distretti della meccanica — citiamo Brescia, Reggio Emilia, Bergamo e Torino su tutti — andranno a soffrire anche perché nel frattempo i grandi carmakers — incluso Stellantis — stanno spostando altrove le produzioni.
Chi ce la può fare e chi lo fa già
La soluzione che proponiamo a questo punto, continua Losio, è che le aziende che sono in possesso di determinate expertise si spostino «nelle adiacenze del mercato che servivano prima», per sfruttare le capacità tecniche di cui godono e lo stesso capitale umano. L’obiettivo è trovare nuovi spazi di mercato. «Alcune hanno già cominciato questo percorso. Nella fluido-meccanica, nel settore navale, nella produzione di mezzi speciali. Ci sono esempi virtuosi come il gruppo Galba che conta 200 milioni di ricavi o il gruppo Gnutti di Maclodio da 500 milioni di fatturato». È chiaro che ogni vicenda aziendale fa storia a sé, molto dipende dalla diversa velocità di cambiamento. «Ma a questo punto l’approdo che ci sembra più convincente è quello dell’industria dell’aerospazio e della difesa. Sono settori in crescita esponenziale per motivi geopolitici e anche dotati di ottima profittabilità — dice Losio —. È un mondo vasto, in cui c’è di tutto. Il cuore è rappresentato da componenti che partono da lavorazioni meccaniche e da pezzi fusi. La nostra azione punta a bilanciare la perdita di fatturato che purtroppo verrà dalla transizione elettrica con nuovi ricavi che si possono conquistare entrando nei nuovi settori».
È chiaro, spiegano gli organizzatori del seminario di Bergamo, che aerospazio e difesa sono settori fortemente regolamentati rispetto all’automotive. Per produrre componenti per satelliti, navi, aerei militari ci vogliono certificazioni e bisogna sottoporsi a un audit molto stringente ma «le nostre aziende si devono preparare a un salto culturale, investire in nuove skill e in nuovi manager che si occupino della gestione dei nuovi progetti e possano essere dei referenti affidabili per i grandi clienti dell’aerospazio e della difesa, che sono molto demanding e strutturati».
Le aziende-faro
Ad agevolare questa transizione nella transizione, a detta di Losio, c’è la grande volontà di gruppi italiani che chiama «aziende-faro», come Fincantieri e Leonardo, che stanno mettendo in campo progetti interessanti per rafforzare l’affidabilità delle filiere e questo processo rappresenta per le aziende della componentistica automotive un’occasione irripetibile. Già ci sono un paio di casi-pilota come il gruppo Camozzi e la Elcom di Manerbio che stanno collaborando con le aziende faro e il cui lavoro è molto apprezzato. Del resto in soldoni le aspettative di crescita dell’aerospazio e difesa solo in Italia per il 2025-30 parlano di 7-8 miliardi di crescita. «Non dimentichiamo che una volta affermatesi in Italia le nuove aziende fornitrici possono anche proporsi alle aziende estere».
Un percorso rigido
Il mercato della difesa è globale, si compete con cinesi, tedeschi e americani e di conseguenza gli standard di affidabilità sono molto elevati. Ci vogliono tempi di accreditamento e di investimenti tecnologici su un arco temporale di circa due anni e le aziende-faro pur aprendosi alla ricerca di nuovi fornitori non possono e non vogliono fare sconti. Per far capire meglio all’uditorio che tipo di processo è necessario innescare sarà presentato in aula il caso della Posa di Brugherio. In sala saranno presenti rappresentanti delle aziende metalmeccaniche del Piemonte e del nuovo Triangolo industriale, l’evento poi sarà replicato a Bologna fino a diventare una sorta di road show. Il settore della componentistica automotive vale 50 miliardi e sono centinaia le aziende potenzialmente interessate a questa riconversione. E in parallelo la supply chain attuale dell’industria della difesa non ce la fa a star dietro agli ordini, le aziende-faro per crescere hanno bisogno dunque di nuovi interlocutori affidabili altrimenti saranno costrette a rivolgersi all’estero. «È proprio un caso in cui la domanda è alta e l’offerta è scarsa, dobbiamo ridurre velocemente il gap altrimenti rischiamo di perdere posizioni nella competizione internazionale. Del resto nessuno pensava che la transizione elettrica fosse alla fine così veloce e impattante e spiazzasse le aziende dell’indotto. Non dobbiamo replicare l’errore», conclude Losio.
Ma il percorso che sarà delineato al Kilometro Rosso è credibile? Risponde Lorenzo Ciapetti, autore di un recente studio sull’economia dello spazio e il potenziale di innovazione delle Pmi: «La traiettoria è corretta ma c’è tanta strada da percorrere. L’aerospazio è un settore che richiede standard di certificazione, è un percorso rigido. Di conseguenza sarà cruciale il modello di business che i fornitori dell’automotive adotteranno in questa loro conversione. L’expertise di base c’è specie nel Nord-Est, farli diventare casi di successo economico è la sfida che si apre».
Riproduzione Corriere della Sera