Lo certifica il Desi 2022, la rilevazione effettuata dalla Commissione Europea che viene resa pubblica ogni anno, e che pone l’Italia al 18° posto, penultima tra i paesi popolosi
di Francesco Castellini
Tra resistenze, ritardi e radicati problemi, c’è un’Italia digitale che arranca e che per questo desta molta preoccupazione.
Sì perché in un mondo sempre più tecnologico e in una realtà sempre più informatizzata, è fondamentale poter contare su cittadini in grado di avere conoscenze digitali che fanno la differenza.
Per questo si rende fondamentale e urgente colmare un vero gap a livello di competenze e di abilità pratiche.
La Commissione europea ha recentemente pubblicato i risultati del Digital Economy and Society Index (Desi) 2022, un rapporto che presenta i dati relativi a capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali e dei servizi pubblici digitali nei Paesi europei.
A livello europeo, si osserva che durante la pandemia di Covid19, gli Stati membri sono riusciti a compiere dei progressi negli sforzi di digitalizzazione, senza tuttavia riuscire a colmare le lacune in termini di competenze digitali, trasformazione digitale delle Pmi e introduzione di reti 5G avanzate. Infatti, rimane basso il livello di adozione di tecnologie digitali fondamentali da parte delle imprese, tra le quali intelligenza artificiale e Big Data.
Il Recovery and Resilience Facility, lo strumento per la Ripresa e la Resilienza che prevede circa 127 miliardi di euro dedicati alle riforme e agli investimenti nel settore della digitalizzazione, rappresenta un’opportunità senza precedenti in questo campo.
A livello nazionale, l’Indice di Digitalizzazione dell’Economia e della Società (Desi) 2022 colloca l’Italia al 18º posto fra i 27 Stati membri dell’UE.
Ne emerge in sostanza un impietoso scenario da “medioevo digitale” per il nostro Paese.
Un quadro desolante a cui va a sommarsi anche il rapporto annuale dell’Istat, che contribuisce a restituirci la fotografia di un Paese caratterizzato da un analfabetismo digitale davvero allarmante, con tutti i danni e le disuguaglianze che ne derivano.
Fa da coro il ritardo sulla partecipazione dei cittadini alla Pubblica Amministrazione digitale, una situazione che, specialmente dopo il Covid, non si può più tollerare, con solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni che possiede competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’Ue) e con solo il 22% che dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (a fronte del 33% nell’Ue).
L’Istat inoltre certifica anche un divario digitale geograficamente marcato tra Nord e Sud del Paese, dal momento che “la percentuale di famiglie in cui nessun componente usa internet tocca quasi il 30% nel meridione e nei comuni fino a 2.000 abitanti”.
Nonostante negli ultimi anni l’Italia abbia sostanzialmente migliorato i propri punteggi, in particolare grazie all’istituzione di un Ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, il nostro Paese è chiamato ad adottare strategie chiave e a lanciare misure strategiche che aiutino ad accelerare il processo di digitalizzazione.
Va detto che al Sud la copertura banda ultra larga è mediamente migliore.
Ne deriva un grave deficit di tutela dei diritti fondamentali che impedisce alle persone anche la possibilità di cogliere nuove opportunità lavorative nel contesto di un rinnovato mercato del lavoro in cui aumenterà sempre di più la domanda di professionisti e di esperti del digitale.
Ecco perché il digital che divide dovrebbe diventare un tema centrale nell’agenda politica, giuridica e istituzionale tanto da richiedere un urgente adeguamento del quadro normativo esistente.
Per l’Italia il Pnrr è, sicuramente, un’occasione dal punto di vista di investimenti che sostengono la diffusione della banda larga ultraveloce. Per quanto riguarda l’integrazione e lo sviluppo delle tecnologie per la prima volta l’Italia ha presentato un piano di Strategia Nazionale per le Competenze digitali e un piano operativo, fissando quindi degli obiettivi da perseguire nei prossimi anni.
La sfida è molto grande e tutti – Istituzioni e cittadini – sono chiamati ad essere attori protagonisti di un progetto di cambiamento che sta attraversando il Paese anche grazie ai fondi europei messi a disposizione. Un piano da attuare in fretta e che richiede ingenti investimenti, ma che necessita allo stesso tempo anche di un cambio di mentalità radicale, per poter comprendere che il “il treno” che sta passando sarà probabilmente l’ultimo capace di portare il Paese fuori dal “medioevo digitale” in cui vive da anni e quindi aiutarlo a superare il gap tecnologico con gli altri Stati membri Ue e il gap di competenze tra il “capitale umano” che ci porta ad essere ultimi in Europa.
Infatti, essendo l’Italia la terza economia dell’UE per dimensioni, nella visione della Commissione europea i progressi del nostro Paese nei prossimi anni nel settore della trasformazione digitale saranno fondamentali per contribuire al conseguimento degli obiettivi del decennio digitale per il 2030 da parte di tutta l’UE.
L’analisi dei risultati italiani evidenzia alcuni punti chiave:
– oltre la metà dei cittadini italiani non dispone neppure di competenze digitali di base, il che non consente di colmare il divario con la media europea;
– per quanto riguarda la connettività, si osservano progressi in termini di diffusione dei servizi a banda larga e di realizzazione della rete;
Il 60% delle Pmi italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale e l’utilizzo di servizi cloud, in particolare, ha registrato una considerevole crescita;
L’utilizzo di servizi pubblici digitali ha registrato una crescita considerevole negli ultimi due anni, nonostante vi faccia ricorso solo il 40% degli utenti di internet italiani, rispetto alla media UE del 65%.