Laura Musella, fondatrice del festival, nel consueto saluto alle autorità ha tenuto a ringraziare quanti hanno propiziato l’evento
Freddo spettrale come di consueto, ma il Duomo di una città che aspira al rango di capitale della cultura ieri pomeriggio occupava tutti i posti disponibili per assecondare il rito del concerto pasquale offerto alla RAI dal festival Omaggio all’Umbria. Tante edizioni in cui il mondo intero si è trovato in casa, nella sera del Venerdì Santo, un prodotto culturale redatto in uno dei luoghi più belli che la nostra regione possa offrire alla spiritualità. Laura Musella, fondatrice del festival, nel consueto saluto alle autorità ha tenuto a ringraziare quanti hanno propiziato l’evento, dal competente Ministero, alla Regione dell’ Umbria, al Comune orvietano e alla sua Fondazione Cassa di Risparmio, la Banca Intesa, l’Opera del Duomo, Sviluppumbria, l’Università per Stranieri di Perugia, la Camera di Commercio.
Ma soprattutto ha tenuto a precisare quello che tutti sapevamo: la presenza del direttore d’orchestra Zubin Metha coi suoi ottantasei anni è stato qualcosa di irripetibile, perché trovarsi di fronte, ancora una volta, a uno dei miti viventi della musica, è qualcosa che difficilmente i presenti potranno rivivere. E’ dal 2009 che Metha dirige per Omaggio all’Umbria, dodici volte, di cui dieci nel concerto pasquale, sempre alla guida del complesso che ha portato, nel tempo, a livelli di perfezione internazionale, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Stavolta anche con i complessi corali diretti da Lorenzo Fratini.
Il repertorio scelto dal maestro indiano era tutto dedicato a Bruckner, musicista di elezione per ripetuti approfondimenti, uno scavo nel profondo di una produzione misticamente elevata che infatti ha avuto il suo momento culminante nel Te Deum scritto dal maestro austriaco nel 1885 e considerato dallo stesso Mahler, che di Bruckner fu discepolo, una musica per gli angeli “purificata dal fuoco della fede”. Nella stesura di questo inteso momento corale Metha si è avvalso di quattro belle voci, il soprano Kirstern MacKannon, il mezzo Maria-Claude Chappuis, il tenore Joseph Dadah e il basso David Steffens, con la rilevante presenza di inserti solistici della “spalla” Domenico Pierini, uno dei valori aggiunti dell’Orchestra fiorentina. Il momento più corposo del concerto era costituito dal poderoso pannello iniziale, la Quarta sinfonia che Bruckner aveva scritto una decina d’anni prima sulle suggestioni della musica wagneriana. Una poderoso macchina sonora che si snoda per più di un’ora, adottando una procedura acustica di continui rigonfiamenti timbrici che si dissolvono, all’improvviso, in un pulviscolo di piccole rifrazioni, uno spolverio di inserti melodici guizzanti, affidati agli “strumentini”: con l’effetto di ritardare e poi annullare il previsto climax in una indefinita tensione psicologica che si placa solo nel finale.
Come era già accaduto nella silloge wagneriana con cui anni fa, Metha aveva esaltato le capacità acustiche del Duomo, anche di fronte alla musica di Bruckner, il tempio ha risposto con tutta la sua capacità “polmonare” eccessiva ovviamente per chi era presente, ma certamente godibile da chi la ascolterà nello schermo televisivo. In effetti, come ci ricordava Eco nel suo Pendolo di Foucault, la cattedrale gotica è un edificio che tende alla “Gerusalemme celeste”, prodotto di una umanità medievale che si stava risvegliando da guerre e pestilenze e innalzava le sue chiese in un rinnovato fervore di spirito e ricerca di luce. Il pinnacolo, la colonna, l’arco rampante sono le manifestazioni architettoniche di una ricerca che Giotto e Duccio esperimentavano in concomitanza con il misticismo di Eckart e il nominalismo di Ockam.
Fra Bevignate e, dal 1309, Lorenzo Maitani lo scrissero sulla pietra e seppero donare all’Umbria una delle cose più belle di cui ornarsi. Avere legato Omaggio all’Umbria a questo luogo e averlo offerto all’umanità è una delle cose per cui, giustamente, Laura Musella, passerà negli archivi della storia della nostra regione. La testimonianza umana che ci ha donato Zubin Metha è stata particolarmente toccante, Avanzando a piccoli passi sul palco, seduto sul podio, ricurvo e col colore del volto ormai spento, Metha ha rivestito il personale eroismo verso una professione che, per lui, è certamente un atto di fede. Con un gesto abitualmente bellissimo, plastico e avvolgente, ha voluto ancora una volta destare gli squilli dei grandi musicisti del Maggio, gli ottoni, semplicemente superbi negli squilli dello Scherzo e gli archi, sempre più compatti e melodicamente avvolgenti, come è nella tradizione del complesso fiorentino. Ovazioni frettolose, data la eccessiva durata del concerto e il rigido di cui si parlava.
Stefano Ragni