L’ azienda agricola italiana ha una superficie media di poco più di 11 ettari, ma è la classica media di Trilussa. Questi 11,6 ettari vengono da un 78% di aziende agricole con meno di 10 ettari, un 20% tra 10 e 100 ettari e solo l’1.6% con più di 100 ettari.

Dire che l’agricoltura italiana è fatta da piccole aziende agricole è un eufemismo, dovremmo forse parlare di micro-nano-aziende agricole. Il problema è continentale: in Europa quasi il 60% delle aziende agricole ha meno di 5 ettari.

Questa frammentazione è davvero un problema? Sì, lo è, per tanti motivi. Anche se molte di queste aziende hanno produzioni artigianali molto apprezzate, una piccola azienda ha risorse limitate, poca credibilità bancaria per finanziarsi, molti costi e spesso poca efficienza (anche se non è sempre così).

È più sostenibile? In linea di massima sì, ma non è automatico, anche se eventuali pratiche dannose per l’ambiente o il benessere animale hanno un’incidenza relativamente bassa, proprio per la dimensione.

E poi c’è un altro problema: non è detto che una piccola azienda agricola sia sinonimo di produzioni di nicchia e di alta qualità certificata. La maggior parte (non in volume) dei prodotti Dop, Igp, Igt, etc viene da piccole aziende agricole, ma la maggior parte delle piccole aziende agricole non fa prodotti, o non solo, prodotti tipici. Togliamo dalle successive considerazioni i piccoli vignaioli indipendenti, i presidi Slow Food e affini. Nella maggior parte dei casi le piccole aziende agricole producono commodities, proprio come le grandi. Avere un sistema fatto di piccole aziende agricole per produrre commodities rende il settore poco competitivo. Dall’altro lato, le piccole aziende agricole che producono specialties hanno costi elevati per definizione e fanno fatica a finanziarsi.

Non a caso, dal 2010 al 2020 le aziende agricole italiane si sono dimezzate e la superficie media è aumentata (da 8 a 11): molte piccole sono scomparse, molte sono rimaste piccole, qualcuno ha comprato il campo del vicino con debito bancario, ma per lo più lo ha affittato.

E le grandi? Definiamo “grandi” innanzitutto. Le vere, grandi aziende agricole in Italia sono pochissime, centinaia, decine forse. Sì perché, per parafrasare una canzone degli anni 80, le aziende con 50, 100 o qualche centinaio di ettari sono “grandi in Giappone”, cioè grandi rispetto a un Paese dove tutto è proverbialmente miniaturizzato. Perché in effetti le commodities, prodotti indifferenziati distinguibili solo per il rapporto quantità/prezzo nei limiti degli standard richiesti, richiedono efficienza, economie di scala, grandi volumi, qualcosa che una piccola azienda non può fisicamente ottenere. Le grandi poi fanno tanto fatturato, ma guardando la redditività per ettaro non è strabiliante, anzi. Fanno girare tanti soldi, ma la redditività del capitale investito è spesso contenuta, a volte meno di una piccola. Per ragioni uguali e contrarie, piccole e grandi sono perennemente nel guado.

Perché? Si può incolpare il mercato, l’equità dei prezzi o il clima, ma l’unica spiegazione, confermata dall’evidenza dei fatti, è che un’azienda da 3 ettari e una da 300 sono spesso condotte allo stesso modo: tanta tecnica, più competenza tecnologica nella grande, poche, pochissime competenze gestionali. Se ci fossero, una piccola non produrrebbe commodities e una grande produrrebbe ricchezza, non solo ricavi. Se ci fossero, le piccole penserebbero a consorziarsi e le grandi a diversificarsi e a fare investimenti strategici. Piccola o grande, la gestione di impresa è fondamentale. Tre ettari o 300, un bilancio, l’organizzazione dei processi, la gestione finanziaria e molti altri strumenti manageriali sono fondamentali, ma più e prima di qualsiasi strumento serve una strategia, cosa che ad oggi manca a queste “gemelle diverse”.

L’azienda agricola tipicamente ruota intorno alla produzione e su di essa si focalizza, mentre il resto, la strategia di business e gli obiettivi di lungo termine sono dati per scontati o addirittura coincidono semplicemente con gli obiettivi di prosperità della famiglia.

Nella realtà delle aziende agricole, sembra che la strategia coincida con quello che si sa fare e si è sempre fatto. È il prodotto a guidare l’operato dell’azienda e non la strategia, così come è la contiguità fisica a guidare fusioni e acquisizioni. Se un determinato prodotto non fosse più competitivo sul mercato per qualsiasi ragione, pochissimi imprenditori agricoli avrebbero il sangue freddo per cambiare business (agricolo), la stragrande maggioranza resisterebbe a oltranza, sperando che le condizioni cambino. Al contrario, chi ha una strategia diversifica, chiude e apre linee di business, crea le condizioni per produrre ricchezza o vi si adatta. L’agricoltura può essere molto più solida e profittevole di com’è ora, ma l’assenza di strategia è forse ciò che rende le aziende agricole fondamentalmente tutte uguali agli occhi del business.

Riproduzione: Ilsole24ore

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