Quando una PMI decide di avviare una campagna di equity crowdfunding, il primo passo concreto è sempre lo stesso: scegliere una piattaforma. Ma cosa significa davvero “scegliere una piattaforma” in Italia oggi? E soprattutto, che ruolo giocano questi soggetti nella riuscita – o nel fallimento – di una raccolta?

L’immagine più diffusa è quella della vetrina: la campagna va online, gli investitori leggono, decidono, investono.

In realtà, ciò che accade prima e dietro quella pagina è molto più articolato. Le piattaforme non sono tutte uguali e non operano con lo stesso modello. Alcune selezionano con rigore, altre accettano progetti con criteri più ampi; alcune offrono supporto strategico e marketing strutturato, altre forniscono esclusivamente la tecnologia e lasciano tutto il resto in carico all’azienda.

Dalla candidatura alla selezione: un processo non automatico

Per ogni campagna che vediamo online, ce ne sono almeno dieci che si sono fermate prima. La fase di selezione è cruciale. Le piattaforme valutano bilanci, business plan, governance, metriche di mercato, qualità del team. Ma soprattutto valutano un elemento invisibile: la capacità dell’impresa di “attivare una rete”, ovvero di raccogliere interesse e fiducia. Perché nessuna piattaforma può garantire capitale se l’imprenditore non è in grado di generare coinvolgimento.

Modelli operativi diversi, visioni differenti

Esistono in Italia almeno tre approcci distinti:

  • Modello full service: la piattaforma si occupa di tutto – advisory, documentazione, storytelling, media relations. L’azienda è guidata passo dopo passo, ma il costo è più alto.
  • Modello ibrido: la piattaforma offre strumenti e supporto “a moduli”, lasciando all’impresa la libertà di scegliere come gestire la campagna.
  • Modello tecnico: la piattaforma è solo veicolo tecnologico. L’impresa si occupa di ogni aspetto, dalla strategia alla comunicazione, in autonomia o con advisor esterni.

Questa varietà crea opportunità, ma anche confusione. Spesso le PMI non sanno cosa aspettarsi, e si affidano a una piattaforma senza comprendere appieno il tipo di percorso che li aspetta.

Il ruolo dell’interlocutore professionale

In questo scenario articolato, un ruolo sempre più determinante è giocato da quegli attori esterni che operano come facilitatori strategici tra impresa e piattaforma. Sono professionisti specializzati – advisor, acceleratori, strutture verticali – in grado di affiancare la PMI nella definizione dell’intera operazione: dall’analisi preliminare alla messa a terra del piano finanziario, dalla costruzione dello storytelling all’attivazione degli stakeholder.
Grazie a queste figure, l’impresa può presentarsi alla piattaforma in modo più solido, credibile, preparato. Ma soprattutto può navigare le complessità del processo senza dispersione di tempo, risorse e credibilità.

Sono interlocutori sempre più richiesti, soprattutto dalle PMI che si avvicinano per la prima volta all’equity crowdfunding e che hanno bisogno di trasformare un’idea di crescita in un’operazione ben strutturata.

Non basta “essere online”

Uno dei fraintendimenti più ricorrenti è credere che basti andare live per raccogliere capitale. Le piattaforme lo sanno, e oggi – soprattutto dopo il passaggio al regime europeo ECSP – sono sempre più attente alla qualità della selezione iniziale.

Molte chiedono alle aziende: uno scenario economico ragionato, una campagna di comunicazione pianificata, asset grafici coerenti, presenza digitale attiva, e un network iniziale già sensibile al progetto.

L’equity crowdfunding non è un automatismo. È un processo da costruire, giorno per giorno, con un alleato consapevole: la piattaforma e sempre più spesso, anche con il supporto di un interlocutore terzo, esperto e strategico.

Verso una maturità del mercato

Con l’evoluzione normativa in atto e l’arrivo di soggetti esteri sul mercato italiano, il ruolo delle Piattaforme è destinato a evolversi ancora. Le migliori si stanno strutturando per offrire anche percorsi post-campagna, strumenti di investor relations e relazioni con il mondo bancario e istituzionale.
Si va verso un modello più integrato, in cui la piattaforma diventa un nodo strategico dell’ecosistema, e non solo un tool di pubblicazione.

Per questo oggi più che mai, per una PMI, la scelta della piattaforma non è un dettaglio operativo. È una scelta strategica, che può fare la differenza tra un’operazione ben riuscita e una raccolta che resta ferma sotto la soglia.

Cinque consigli pratici per scegliere (bene) la piattaforma

  1. Non partire da solo
    Il successo di una campagna si costruisce prima della pubblicazione. Avere al fianco un interlocutore esperto – capace di guidare strategia, comunicazione, materiali e rapporto con la piattaforma – è spesso il fattore decisivo tra una raccolta riuscita e un’occasione mancata.
  2. Comprendi il modello della piattaforma
    Alcune offrono accompagnamento completo, altre solo supporto tecnico. Chiedi chiaramente: cosa è incluso, cosa non lo è? E valuta se hai le risorse interne per coprire le attività che restano fuori.
  3. Studia i casi già pubblicati
    Le imprese presenti sulla piattaforma sono simili alla tua per dimensione, settore, maturità? I risultati sono trasparenti? Analizza numeri, dinamiche e modalità di comunicazione.
  4. Fai un colloquio preliminare
    Le piattaforme serie offrono sempre un confronto prima dell’eventuale accettazione. Approfittane per valutare competenza, metodo e disponibilità a costruire un percorso condiviso.
  5. Verifica la solidità normativa e digitale
    Assicurati che la piattaforma sia conforme al Regolamento ECSP e che il processo sia strutturato, efficiente, tracciabile. La compliance oggi è un elemento distintivo.

Marina Micheli

Head of Crowdfunding Division di Accelera Hub

ll ruolo delle piattaforme: modelli, regole e orientamenti operativi a cura di Marina Micheli – Head of Crowdfunding Division di ACCELERA HUB

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