Niente e nessuno fermerà la diffusione dell’Intelligenza Artificiale e delle altre tecnologie, quando queste hanno un’utilità così evidente. Vero, vanno conosciute e governate e la sfida della certificazione delle fonti è un caso emblematico.
Con la blockchain infatti si possono certificare le fonti e i contenuti. Se l’Intelligenza Artificiale moltiplica, velocizza, estremizza e dà spazio di espressione alla creatività (anche artificiale) la blockchain standardizza, certifica e garantisce. La blockchain come antidoto agli usi problematici o malevoli dell’IA, due facce della stessa medaglia, due binari su cui far viaggiare lo stesso treno dell’innovazione. Perché se gestiamo correttamente i problemi correlati all’innovazione, poi ne potremmo tutti godere degli estremi benefici, senza rischi e pericoli.
Come farlo tecnicamente?
Possiamo immaginare che i contenuti certificati avranno una spunta, diciamo verde, con un link verso l’hash della transazione registrata sulla blockchain pubblica scelta in cui vengono raccolti tutti i dati certificati e i relativi contenuti di un singolo ente o persona fisica.
Degli infiniti video deep fake che si possono creare ad esempio su Giorgia Meloni, solo quello accompagnato dalla spunta verde che porta al wallet ufficiale della Presidenza del Consiglio dove sono registrate tutte le comunicazioni ufficiali e certificate del Presidente del Consiglio, sarà un video autentico della nostra Premier. Qualsiasi altro video, di conseguenza, può ritenersi falso o comunque non certificato.
Questo è applicabile ovviamente anche a testate giornalistiche, programmi tv, profili istituzionali che a loro volta potrebbero far riferimento ad altri contenuti o fonti direttamente linkando gli hash delle transazioni relative in cui sono state registrate quelle informazioni, scritte sulla blockchain, scolpite nella pietra, ad imperitura memoria.
La semplificazione e la crescente accessibilità degli strumenti di IA sta consentendo da un lato la possibilità di generare una quantità elevata di contenuti a sforzo quasi zero, e dall’altro di utilizzare dati, contenuti e informazioni esistenti per generarne di nuovi (potenzialmente anche falsi) che siano però estremamente verosimili.
Da un lato, quindi, diventa possibile generare ad esempio 1.000 o 10.000 versioni di una news falsa, da far circolare in rete in modo che sembri provenire da molteplici fonti diverse, e questo potrebbe generare la sensazione che quell’informazione sia vera. Non è che non fosse possibile prima dell’avvento dell’AI (o che non venisse fatto), ma sicuramente quello che cambia è la facilità con la quale ora queste attività possono essere portate a termine, anche da chi non padroneggia gli strumenti (anche quelli linguistici) necessari.
A ciò si aggiunge la possibilità di utilizzare fonti esterne, catturandone i contenuti e il valore, per generare nuovi contenuti apparentemente originali. Diventa quindi possibile creare un’applicazione che prenda i contenuti di una testata giornalistica e ne imiti struttura e contenuti, per generare una nuova testata, apparentemente diversa, ma che tratta argomenti simili. E anche questo praticamente senza nessun sforzo aggiuntivo a quello di un setup iniziale. Peggio ancora se le fonti vengono prese per generare contenuti nuovi (e quindi potenzialmente falsi), ad esempio facendo dire o fare qualcosa ad un determinato personaggio famoso, che sia un rappresentante delle istituzioni, un influencer, un politico o un industriale (tramite l’IA è infatti possibile generare un video in cui qualcuno, di cui si abbiano sufficienti contenuti audio/video, dica o faccia qualunque cosa).
Come al solito, l’utilizzo di una tecnologia così potente ha applicazioni incredibili, ed altre incredibilmente pericolose. Come risolvere questi problemi, senza arrivare a vietare o vincolare l’utilizzo della tecnologia. Appare evidente che la tracciabilità delle fonti, la loro certificazione, e la possibilità di marcare i contenuti (ad esempio segnalandone l’incorrettezza o l’esistenza di nuove versioni più aggiornate) stiano diventando sempre più necessarie. Tramite l’utilizzo della tecnologia blockchain, queste attività stanno trovando la loro strada naturale. Elementi base, come la firma digitale dei contenuti, risultano potenti per certificare la provenienza di una fonte, e la notarizzazione (ovvero la registrazione con marcatura temporale su blockchain) consente di stabilire con facilità e sicurezza chi è stato il creatore di un determinato contenuto. Allo stesso modo, contenuti ancorati alla blockchain possono essere aggiornati, e le loro nuove versioni segnalate a chi ne entra in contatto. Se ci pensate, oggi non è possibile (o è estremamente difficile e oneroso) sapere se un determinato contenuto è originale, o andare alla ricerca di sue nuove versioni più aggiornate. Gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione, permetterebbero questo con la stessa facilità con cui oggi possiamo generare contenuti con l’IA, quello che manca è la consapevolezza diffusa dell’importanza di tutto ciò, e l’impegno di tutti gli attori coinvolti nell’utilizzare questa tecnologia nel modo più utile e vantaggioso.
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