La transizione all’auto elettrica per l’industria che impatto avrà sulla filiera italiana? È bene chiederselo! Soprattutto pensando all’economia e all’occupazione.
Secondo i dati Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica), la galassia auto nazionale conta 5.156 imprese e dà lavoro a 268.300 persone (direttamente o meno) che rappresentano il 7% degli occupati del settore manifatturiero italiano. Con 92,7 miliardi di euro di fatturato, l’industria automotive italiana pesa per il 9,3% del fatturato della manifattura e al 5,2% del Pil nazionale.
Se negli Stati Uniti Donald Trump ha sottolineato che questo passaggio “ucciderà l’industria auto statunitense”, (mentre l’amministrazione statunitense ha voluto fare chiarezza sul mercato auto USA), in Italia c’è molta fiducia in questo passaggio. Per otto aziende su dieci della filiera auto (83,2%, per la precisione) le trasformazioni dell’ecosistema auto avranno impatto nullo o positivo sull’occupazione.
Analogo impatto avranno le trasformazioni dell’ecosistema sul portafoglio prodotti per il 79,3% delle aziende. Non solo: la transizione elettrica genererà occupazione: al 2027 si stima un incremento degli occupati della filiera dello 0,6%.
Sono questi i principali dati dell’analisi dell’Osservatorio Tea, l’osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema auto italiano guidato dal Center for Automotive & Mobility Innovation (Cami) dell’Università Ca’ Foscari Venezia e CNR-IRCrES. L’analisi è stata presentata nella sede del ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Auto elettrica e industria: c’è fiducia sulla crescita dell’occupazione
Il passaggio all’auto elettrica per l’industria è quindi visto con sostanziale ottimismo. Sempre secondo i dati dell’Osservatorio Tea, frutto dell’indagine condotta su un campione di 217 aziende rappresentativo di 2.152 imprese, il 48,4% delle imprese sondate ritiene che le trasformazioni dell’ecosistema auto non avranno alcun effetto sul portafoglio prodotti.
Non solo: per il 30,9% avranno addirittura un impatto positivo. Solo il 20,7% non esclude potenziali riflessi negativi.
Sempre a proposito del clima di fiducia sulle auto elettriche è bene mettere in rilievo il dato sulle prospettive occupazionali, tema assai delicato. Già da uno studio realizzato nel 2021 da Motus-E
e dal Cami metteva in evidenza stime positive: gli occupati nel settore automobilistico italiano potrebbero aumentare del 6% al 2030 proprio grazie alla crescente diffusione dei veicoli elettrici.
I dati dell’Osservatorio Tea confermano la tendenza anche lato aziende. Il 55,5% di quelle sondate prevede un impatto nullo sul numero dei propri dipendenti. Mentre il 27,7% ovvero quasi un’impresa su tre si dice convinta: “di poter aumentare i livelli occupazionali, proprio in virtù della trasformazione in atto, che vede nell’elettrificazione del powertrain il suo elemento centrale. In questo caso, scende al 16,8% la quota del campione che teme eventuali riflessi negativi”.
Piccole e micro imprese: cosa ne pensano?
Sempre a proposito di fiducia nelle potenzialità dell’auto elettrica per l’industria, è bene aggiungere – sempre prendendo spunto dai dati dell’Osservatorio Tea – che sono le Pmi (piccole e micro imprese) ad avere positive aspettative in termini di riflessi sul proprio portafoglio prodotti. Secondo l’83,6% e l’80% dei sondati si aspetta un impatto della transizione positivo o nullo.
Un dato è particolarmente significativo: sono le micro imprese le più fiduciose nel ritenere di aumentare il numero degli occupati. Infatti, il 51,7% degli intervistati la pensa così. È una percentuale superiore a quella espressa dalle piccole aziende (33,3%) e delle grandi imprese (31,3%).
Da qui emerge un altro aspetto da tenere presente: la maggioranza delle aziende della filiera auto italiana “fornisce prodotti o servizi invarianti rispetto all’alimentazione dei veicoli”.
Industria auto verso l’elettrificazione: problematiche e richieste
La transizione all’auto elettrica per l’industria comporta anche qualche criticità. La più significativa riguarda la difficoltà di reperimento delle figure professionali necessarie. È una lacuna che emerge tanto nei ruoli operativi (dove la quota di imprese che lamentano difficoltà tocca il 39,3% di media), quanto nei ruoli di gestione del cambiamento e innovazione (48% dato medio).
Si rende necessario il supporto politico e del Governo in particolare in questo passaggio delicato.
Tra le priorità segnalate alle istituzioni c’è la richiesta di misure di defiscalizzazione delle assunzioni di personale giovane (il 65,4% la ritiene importante o molto importante) ed esperto (64,4%). Le stesse aziende valutano con interesse la possibilità di una collaborazione più forte tra aziende, gli Istituti tecnici professionali e gli ITS, “per avvicinare il mondo del lavoro alle scuole, ma anche per contribuire a definire percorsi formativi più coerenti con le nuove competenze ricercate dall’industria”, segnala l’Osservatorio Tea.
Tra le misure di sostegno, sono i benvenuti specifici strumenti incentivanti. In particolare il 58% delle imprese della filiera attribuisce grande importanza ai bonus per l’acquisizione di tecnologie e la riconversione produttiva. Mentre il 54,3% pone l’accento sulle agevolazioni per la formazione dei lavoratori.
Auto elettrica e industria: fotografia della situazione europea
Se le aziende italiane, tutto sommato, sono positive alla transizione all’auto elettrica per l’industria, in Europa l’associazione di riferimento dei produttori europei di automobili non è così convinta.
I timori dell’Associazione dei produttori auto europei
Secondo l’ACEA, manca una strategia industriale. Come ha segnalato nei giorni scorsi Sigrid de Vries, direttore generale di ACEA, «a differenza della Cina e degli Stati Uniti, l’UE non dispone di una solida strategia industriale per sostenere la produzione di veicoli elettrici».
L’affermazione del vertice dell’associazione costruttori europei di auto elettriche è supportata da un report dell’École Polytechnique di Parigi che ha messo in rilievo come l’elettrificazione della mobilità vada ben oltre la semplice conversione dei propulsori termici in elettrici e copre l’intero ciclo di vita di un veicolo elettrico plug-in.
“Si tratta di un’innovazione sistemica che coinvolge l’industria automobilistica e settori correlati come l’estrazione mineraria, la chimica, la produzione di propulsori elettrici e pacchi batterie, l’energia, la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti delle batterie. Si tratta di una transizione molto complessa, che sta mettendo a dura prova l’equilibrio dell’industria automobilistica tradizionale a livello globale, regionale e nazionale”, scrive nel report.
Alla fine del 2022, segnala sempre il report, la Cina rappresentava il 57% della quota globale di vendite, il 60% della flotta globale di veicoli elettrici e il 75% della capacità di produzione globale di batterie. Gli attori globali, che dominano ampiamente la tecnologia ICEV, sono ora costretti a mettersi al passo con i produttori cinesi di veicoli elettrici.
Impatto delle politiche protezioniste
Non solo: l’industria auto europea sconta anche la politica protezionistica degli Stati Uniti che nella volontà di transizione all’auto elettrica ha messo in campo misure incentivanti generose rappresentate dall’Infrastructure Investment and Jobs Act (IIJA) e dall’Inflation Reduction Act (IRA) a tutte le fasi della catena del valore delle Plug-in Electric Vehicle (PEV): circa 10 miliardi di euro per milione di veicoli venduti all’anno solo per la produzione e crediti per veicoli a basse o zero emissioni tra il 2023 e il 2032.
Cina e USA hanno vari strumenti per assumere il predominio nel settore, anche a fronte del fatto che “in un momento in cui le case automobilistiche europee dipendono fortemente dalla catena del valore delle batterie cinesi, l’Europa, bersaglio delle esportazioni cinesi di PEV di alto valore, presenta lacune nel suo quadro normativo per raggiungere l’obiettivo altamente ambizioso del 100% ZEV entro il 2035”.
Il report fa riferimento all’imminente applicazione dell’Euro 7, come originariamente proposto dalla Commissione, che rischia di distogliere fondi dallo sviluppo dei PEV e potrebbe portare alla prematura scomparsa degli ICEV.
La produzione di batterie per auto elettriche
L’impulso dato alla produzione di celle di batterie in Europa potrebbe dare i suoi frutti, stimando una capacità produttiva di 1,1 TWh entro il 2030.
Tuttavia, l’attuale ritmo di sviluppo della catena europea del valore a monte delle batterie (lavorazione dei materiali e produzione dei componenti) non è sufficiente a ridurre rapidamente la dipendenza dalla Cina.
Gli autori del report auspicano, nel brevissimo termine, che la Commissione europea prenda in considerazione lo sviluppo di quadri normativi e finanziari ad hoc per garantire condizioni di parità tra le diverse regioni e dare maggiore slancio all’industria delle auto elettriche. Allo stesso tempo:
“gli Stati membri devono essere pronti a continuare a sostenere l’adesione al mercato attraverso incentivi finanziari e/o non finanziari, mentre le case automobilistiche europee dovranno dimostrare destrezza organizzativa sia per continuare a vendere ICEV redditizi sia per sviluppare rapidamente BEV ad alto valore per competere con le case automobilistiche cinesi”.
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