Prendere esempio da Israele, Stato ideatore e creatore degli impianti di desalinizzazione
Carenza di acqua potabile, un problema che angoscia il pianeta. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che entro il 2025 metà della popolazione mondiale vivrà in aree sottoposte a stress idrico e che al momento già oltre 2 miliardi di persone al mondo vivono in paesi con problemi di approvvigionamento.
Ben 4 miliardi sperimentano gravi carenze d’acqua per almeno un mese all’anno. E più di 1,5 miliardi di persone si trova in territori privi o carenti di infrastrutture idriche.
Numeri che preoccupano, soprattutto alla luce del crescente riscaldamento globale e dei suoi effetti sul ciclo dell’acqua.
E che sia questo un fattore sempre più cruciale per la stabilità geopolitica del futuro, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici che già stanno portando a grosse ondate di siccità, è una verità assoluta.
Ma a guardarsi intorno sorge spontanea la domanda: com’è possibile che venga a mancare questa risorsa naturale e indispensabile per la vita quando siamo circondati da oceani che costituiscono il 97% dell’acqua presente sulla Terra?
La logica porta ad affermare: “basterebbe usarne anche solo una minima parte per dissetare la popolazione mondiale”.
Ecco perché per contrastare il problema la ricerca è da anni impegnata a studiare e realizzare impianti che puntano a dissalare l’acqua marina, per renderla dolce, cercando continuamente nuove soluzioni a basso costo, sia dal punto di vista economico che ambientale.
Il pensiero corre a Israele, lo Stato ideatore e creatore degli impianti di desalinizzazione.
Tutto ha avuto inizio nel 2007, quando tramite l’istituzione della “Autorità delle acque”, ha iniziato l’opera di desalinizzazione delle acque marine e di recupero di quelle dolci. E così si è data vita agli impianti di Ashkelon, Palmahim, Hadera, Soreq, Ashdod, che in breve tempo sono riusciti a coprire il 35 per cento circa del fabbisogno di acqua potabile, con la prospettiva di arrivare al 70 per cento entro il 2050.
L’impianto di Soreq è al momento il più grande e tecnologicamente avanzato desalinizzatore del mondo: inaugurato nel 2013 a pochi chilometri da Tel Aviv, produce il 20% dell’acqua potabile destinata alla capitale; l’impianto è grande quanto sei campi di calcio e aspira l’acqua del mar Mediterraneo, per l’esattezza 624 mila metri cubi al giorno, tramite dei tubi del diametro di 2,5 metri.
L’acqua salata che entra nell’impianto, poi, attraverso una serie di processi osmotici di filtraggio e pulitura, viene resa potabile, con una produzione annua di 150 milioni di metri cubi.
Il sale estratto viene restituito al mare.
In più Israele da parecchi anni ha attuato un risparmio idrico che comporta il riutilizzo di circa l’ 86% delle acque reflue per il settore agricolo, riducendo al minimo le perdite di acqua destinata all’agricoltura, con l’impiego dell’irrigazione a goccia.
Ma chi fa il giro del pianeta azzurro facilmente scopre che altri Stati insidiano il primato di Israele.
Secondo i dati dell’Istituto Geologico degli Stati Uniti (o Usgs, dall’inglese United States Geological Survey) agenzia scientifica del Governo degli Stati Uniti, i principali utilizzatori di acqua dissalata al mondo sono i Paesi mediorientali come Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Quatar e Bahrain.
Pregevole lo sforzo che fanno su questo fronte i Paesi nordafricani, come Libia e Algeria.
Con gli Usa che ne fanno ampio uso, specialmente in California e Florida.
Ma anche il Giappone vanta percentuali altissime di utilizzo di acqua potabile derivante dalla desalinizzazione.
In Egitto poi si ritrova un virtuoso intreccio tra impianti di desalinizzazione e industria turistica, con villaggi vacanze che sorgono in mezzo al deserto ostentano un verde lussureggiante e impianti di irrigazione a getto continuo.
In Italia l’acqua desalinizzata copre una quota pari al 4% del totale contro il 56% della Spagna (che ha 765 impianti, e se tutta quest’acqua fosse utilizzata per il consumo umano potrebbe rifornire quasi 34 milioni di persone) e il 26% dell’Australia.
Sempre nel Mediterraneo anche Cipro si segnala per un efficiente sistema di desalinizzazione delle acque marine.
Nella progettazione, ingegnerizzazione e messa d’opera degli impianti ciprioti c’è peraltro la firma di una impresa italiana.
Sì perché non sono poche le imprese italiane che operano all’estero nel settore della desalinizzazione.
Ad esempio, nella capitale delle Maldive, Malè, dove è capitato che agli italiani sia stata assegnata una importante concessione per realizzare un impianto turistico in cambio della realizzazione di un progetto di approvvigionamento idrico.
Ma allora ci si chiede: se siamo bravi all’estero ancor più dovremmo esserli a casa nostra, o no?
Altrimenti si dà ragione al motto biblico “nemo propheta in patria”.
Francesco Castellini