La fotografia del settore rivela che molti operatori non hanno ancora pubblicato un primo bilancio in chiave sostenibile. Lo sforzo di alcuni comparti, ma il distacco dall’industria di marca è evidente
A che punto è il retail italiano rispetto alle tematiche Esg? Ancora indietro. Così ci racconta la prima edizione del Retail Esg Pulse Check di Bain & Company Italia, che analizza il livello di maturità delle nostre aziende in termini di Environmental, Social e Governance attraverso l’approfondimento di tutti i report di sostenibilità dei principali operatori del settore. Il motivo è che all’interno delle nostre imprese molti elementi ancora non vengono adeguatamente monitorati e, soprattutto, mancano gli obiettivi a medio-lungo termine, tra cui quelli science-based di decarbonizzazione. In merito a quest’ultimo aspetto, va ricordato che l’attuale Pniec (piano nazionale integrato per l’energia e il clima) stabilisce al 2030 gli obiettivi nazionali sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2.
Il report evidenzia chiaramente il distacco rispetto ai player dell’industria di marca, alle best practice retail internazionali e alla normativa Europea in arrivo il prossimo anno. Va ricordato infatti che, in base alla Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd) entrata in vigore quest’anno, a partire dal gennaio 2024 e per vari step, aumenterà notevolmente il numero di aziende obbligate a redigere un bilancio di sostenibilità, ovvero a fornire informazioni certificate sugli impatti materiali, sui rischi e sulle opportunità connesse all’intera catena del valore.
“Dalla mappatura emerge che parecchi operatori in più settori non hanno ancora pubblicato un primo bilancio di sostenibilità, anche in settori di dimensione rilevante come l’Elettronica, l’Arredo, fino a settori che fanno registrare l’assenza totale, come i Drugstore e il Pet Food”, spiega Andrea Petronio, senior partner e responsabile della practice Retail di Bain & Company in Italia. “In questa prima edizione ci siamo quindi soffermati nel dettaglio sui tre settori — Gdo Alimentare, Abbigliamento e Ristorazione — dove almeno il 75% delle aziende in analisi pubblica il bilancio. I player analizzati in questi tre settori si possono considerare a uno stadio di ‘avvio’ rispetto alle aree tematiche Esg più rilevanti, con la Grande distribuzione alimentare in media più indietro, con in generale evidenti lacune soprattutto in termini di obiettivi di medio-lungo termine. Rimane dunque necessario un deciso cambio di passo a livello di sistema sul percorso di transizione Esg nel nostro Paese”.
La Grande distribuzione organizzata si sta comunque dando da fare su alcuni aspetti, come ad esempio le rinnovabili, la riduzione delle emissioni scope 1 (quelle direttamente controllate dalle imprese, come ad esempio i combustibili fossili usati per riscaldare gli edifici) e scope 2 (quelle connesse con l’energia acquistata dall’impresa, anzitutto ai fini dei consumi elettrici), mentre risulta ancora carente sulle vere sfide ambientali, quelle a lungo termine, che riguardano principalmente le emissioni scope 3 (relative alla mobilità dei dipendenti, alla catena di fornitura, all’utilizzo dei beni prodotti, eccetera), su cui solo un player su quattro ha un programma per la riduzione.
“La Gdo italiana — spiega Matteo Capellini, expert Associate Partner di Bain & Company — è ancora in fase embrionale sui temi di sostenibilità, soprattutto se confrontata con le best practice internazionali e le aziende di beni di largo consumo. Esiste ancora una concezione di sostenibilità molto legata alla responsabilità sociale e alla filantropia, mentre il vero tema da affrontare è la trasformazione dei modelli di business per ridurre le esternalità negative dirette e indirette. Non abbiamo dubbi che nei prossimi anni vedremo una fortissima accelerata, anche grazie alla spinta dalla Corporate Sustainability Reporting Directive, che contribuirà a definire i market leader di domani e sarà focalizzata soprattutto sul tema decarbonizzazione”.
Tra i settori più virtuosi in termini di maturità Esg sul nostro territorio troviamo quello della ristorazione — un giro d’affari di 75 miliardi di euro — dove però spiccano solo i player internazionali. Inoltre, anche se in questo campo il numero di iniziative e l’ampiezza dei temi toccati è maggiore, resta comunque un gap per quanto riguarda la misurazione dell’impatto complessivo. Due sono i temi su cui il settore fatica ancora molto: la biodiversità e le iniziative volte a eliminare il divario retributivo tra uomini e donne.
Anche l’abbigliamento sta mostrando una buona attenzione rispetto alle tematiche Esg, con un’ottima copertura dei Key Performance Indicator (valori che dimostrano l’efficacia con cui un’impresa raggiunge gli obiettivi aziendali principali) all’interno dei bilanci di sostenibilità. Qui forse ha giocato un ruolo centrale la grande pressione sociale e mediatica che il settore sta vivendo. Ciononostante, resta comunque alto l’impatto dal punto di vista ambientale e sociale, come sottolinea anche Petronio: “In termini di decarbonizzazione, biodiversità e circolarità, l’industria è ancora molto indietro. I player internazionali mostrano un impegno maggiore e degli obiettivi più sfidanti, che i competitor italiani stentano ancora ad eguagliare. Il miglioramento dei retailer italiani da questo punto di vista è legato all’ispirazione che trarranno dalle best practice dei loro concorrenti internazionali, con la sfida di rendere la sostenibilità e la diminuzione delle esternalità negative un elemento intrinseco al concetto di qualità del prodotto”.
Riproduzione “La Repubblica”