In occasione della recente fiera internazionale dei vini di Verona, che tanta parte ha nella pubblicizzazione del made in Italy, la Presidente del Consiglio ed un nutrito gruppo di ministri hanno reso pubblica una iniziativa a sostegno delle imprese che realizzano e soprattutto esportano prodotti che per le loro caratteristiche sono riconducibili alle tipicità del nostro Paese, il made in Italy. Si tratta di un percorso di studi che deve formare giovani in grado di gestire il settore nelle sue diverse tipologie.
L’impatto mediatico è stato però un po’ controverso, perché dietro alla denominazione di liceo traspariva una proposta di curricolo direttamente spendibile nel mercato del lavoro, che assomiglia di più ad un istituto professionale. La Presidente intervenuta ad una manifestazione di istituti agrari ne ha prefigurata l’affinità perché “più legati alle nostre tradizioni”, essendo queste ultime a determinarne l’identità e come se l’agricoltura in Italia non si fosse evoluta con scienza e tecnologia, superando di fatto lo stereotipo ancora presente tra preparazione generale e tecnica.
In tale ottica non poteva mancare la polemica politica che imputava alla sinistra la licealizzazione del sistema formativo, mentre alla destra andrebbe il merito di valorizzare l’istruzione tecnica e professionale, senza tenere conto che proprio un governo di centrodestra (ministro Moratti) ha varato una riforma tutta liceale, che prevedeva i così detti licei vocazionali.
Se dunque si vuol mettere mano all’introduzione di un percorso per il made in Italy occorre guardare al focus formativo, per chiarirne al paese e soprattutto alle famiglie la natura in base al profilo dello studente che si vuole conseguire, in considerazione del progressivo superamento della separazione tra liceo e istituto tecnico, in quanto oggi il mondo del lavoro cerca un mix di competenze, umanistiche e professionali.
Le affermazioni della presidente di voler valorizzare il legame che esiste tra la nostra cultura, i territori e l’ identità devono però fare i conti sia dal punto di vista produttivo che formativo con l’apertura dei mercati e delle esigenze di costruire personalità e professionalità che operano in un mondo complesso dove il successo dipende dall’interazione tra le diverse identità e lo scambio che avviene tra i giovani nei loro percorsi formativi e nelle esperienze lavorative. Un mondo chiuso è a rischio, il made in Italy è una specificità non un perimetro che delimita anche le migliori tradizioni e produzioni; men che meno potrà essere costruito un progetto formativo in senso identitario che ponga freni ad aperture di cui già godono i nostri sistemi in ambito internazionale e su cui è già improntata la nostra legislazione scolastica.
Uscendo dagli aspetti mediatici si va a vedere come il liceo, proprio il liceo, del made in Italy era già stato presentato da Fratelli d’ Italia con un’apposita proposta di legge. Si vuole ottenere una classe dirigente, che potremmo chiamare trasversale ai settori nei quali più si esplicano le peculiarità italiche, che faccia proseguire gli studi a livello superiore. Certo l’uscita verso il mondo del lavoro non si nega anche dopo il liceo, ma l’aspirazione del curricolo indicato è più alta.
La relazione che accompagna il progetto di legge afferma che tale liceo viene a colmare un vuoto nel sistema scolastico: ma siamo sicuri? Diversi indirizzi già presenti possono benissimo comprendere, anzi devono comprendere se vogliono valorizzare il loro rapporto con il territorio, il made in Italy, sia nei licei delle scienze umane, sia negli istituti tecnici e professionali di carattere economico; forse andrebbe rivista la così detta area comune, inserendo l’economia nella formazione generale, cosa che nell’attuale sistema è confinata nelle aree professionalizzanti. La così detta base umanistica che dovrebbe accompagnare il made in Italy è consegnata come nell’ancien regime alla letteratura, filosofia e storia dell’arte.
Un curricolo che semplicemente affianca le materie umanistiche tradizionali a quelle tecnico-economiche e di marketing non ottiene un nuovo profilo, ma semplicemente la giustapposizione tra due percorsi che in pratica procederanno parallelamente faticando a costruire una visione d’insieme e a condurre una didattica integrata. Se proprio sarà necessario escogitare un nuovo percorso, in un periodo in cui sempre meno sono necessari indirizzi così definiti e separati, proprio per il mutare in un’ottica complessa delle professionalità, allora occorrerà una riflessione circa i nuclei fondanti di tale profilo con le relative implicazioni metodologiche.
Così come viene presentato sarà difficile ottenere un liceo dinamico collegato, al mondo aziendale, che non può avere ne una ricaduta diretta nell’occupazione, ne proporre ai giovani un efficace orientamento.
Se proprio si vuole trovare uno spazio curricolare di riferimento non lo si cerchi a partire dalle materie umanistiche, ma dall’attività operativa, arricchendolo delle competenze generali e trasversali, utilizzando la flessibilità organizzativa consentita dall’autonomia delle scuole, sia sul versante liceale che tecnico-professionale, con una buona dose di didattica laboratoriale e di metodologie innovative.
Se si riuscirà a superare curricoli obsoleti il desiderio dei proponenti è di riuscire ad intercettare “le migliori risorse italiane”, se saranno ancora disponibili nel buio demografico.