La nostra società non può fare ancora a meno del petrolio, nonostante i progressi nell’utilizzo di fonti di energia alternative.

Il mercato del petrolio è una delle questioni più dibattute della politica internazionale e talvolta ha provocato crisi diplomatiche e conflitti. I problemi derivano dal fatto che la distribuzione dei giacimenti è disomogenea e molti Paesi industrializzati, che fanno grande utilizzo di “oro nero”, non possiedono riserve sufficienti al loro fabbisogno. Al contrario, in alcune aree del mondo, come il Golfo Persico, il Venezuela e il Delta del Niger, esistono enormi giacimenti, ma non sempre essi producono benessere per i cittadini e spesso sono all’origine di crisi e instabilità politica.

Negli ultimi anni, nel mercato del petrolio si sono sviluppati alcuni cambiamenti importanti: negli Stati Uniti la produzione è aumentata significativamente, mentre le sanzioni economiche inflitte dall’Occidente alla Russia hanno provocato l’aumento del prezzo in Europa e la ridefinizione dei mercati.

Tra i Paesi detentori delle riserve più ingenti, figurano il Venezuela e i Paesi del Golfo persico. Nel caso del consumo, prevalgono i Paesi più grandi e industrializzati. Infine, se si guarda al consumo pro capite, emergono differenze molto significative anche all’interno del mondo industrializzato.

In sostanza, gli squilibri sono molto evidenti e alcuni Stati consumano molto più petrolio della media. Non tutti i Paesi industrializzati, inoltre, possono contare sulle riserve nazionali e molti di loro, come la Cina e gli Stati dell’Europa, devono rivolgersi al mercato internazionale.

Il petrolio ha provocato crisi e ingerenze politiche sin dalla prima metà del Novecento. Tuttavia, è dagli anni ’70 che l’“oro nero” è diventato uno degli argomenti più dibattuti nell’arena politica nazionale e internazionale. Le crisi petrolifere del 1973 e del 1979, provocate dai contrasti tra Occidente e mondo arabo, misero in chiaro che l’approvvigionamento di “oro nero” era diventato una priorità.

Nello stesso decennio, molti Stati produttori nazionalizzarono il loro petrolio, che in precedenza era estratto da compagnie straniere. Per i Paesi industrializzati divenne ancora più importante che gli Stati produttori fossero guidati da “governi amici” e da allora il petrolio è stato frequentemente alle origini di interferenze politiche e persino di guerre. Vediamo la situazione in alcune aree del mondo.

Le principali potenze mondiali si trovano in situazioni assai diverse in merito all’approvvigionamento di “oro nero”. Gli Stati Uniti, pur essendo sempre stati un grande produttore, per molti anni hanno consumato più petrolio di quanto ne producessero, ma oggi riescono a estrarne quasi quanto ne consumano, soprattutto grazie alla tecnologia del fracking, cioè l’estrazione da depositi argillosi (in estrema sintesi).

La Russia, invece, è un esportatore di “oro nero” e per molti anni è stata tra i principali fornitori dei Paesi europei. Recentemente, le sanzioni decretate in seguito alla guerra con l’Ucraina hanno provocato la riduzione delle vendite in Europa e l’aumento del prezzo in tutto il continente. La Russia, però, non ha ridotto le esportazioni, perché ha aumentato il quantitativo venduto in Cina e India. I Paesi dell’UE hanno a loro volta intensificato le importazioni da altri mercati.

La Cina ha esportato petrolio fino al 1993, ma da allora, a causa della sempre più massiccia industrializzazione, è diventato il principale importatore del mondo, rifornendosi soprattutto dalla Russia e dall’Arabia Saudita. Negli ultimi tempi, però, il governo cinese ha avviato progetti per sfruttare più intensamente le risorse nazionali.

Il Golfo Persico è l’area petrolifera per eccellenza. Sulle sue coste si affacciano Paesi – Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar – dotati di enormi riserve, che sono una fonte di ricchezza, ma anche di ingerenze politiche. In alcuni casi, il petrolio non ha provocato instabilità. Per esempio, l’Arabia Saudita, principale esportatore mondiale, è governata in maniera stabile dalla dinastia dei Saud.

Altri Paesi, invece, sono stati coinvolti in guerre e colpi di Stato. Il caso limite è rappresentato dall’Iraq. Nel 1990 il dittatore Saddam Hussein ordinò all’esercito iracheno di invadere l’emirato del Kuwait, perché aveva bisogno delle sue risorse petrolifere. La successiva guerra del Golfo, scatenata contro l’Iraq da una coalizione capeggiata dagli Stati Uniti, ufficialmente mirava a liberare il Kuwait, ma, secondo vari analisti, era dovuta al desiderio di controllare il petrolio kuwaitiano.

Nel 2003 l’Iraq fu nuovamente invaso da una coalizione internazionale, guidata ancora dagli Stati Uniti, con l’obiettivo dichiarato di scovare presunte armi di distruzioni di massa. Tali armi, in realtà, non esistevano, ma la coalizione rovesciò  il regime di Saddam e mise al potere un nuovo governo, che concesse enormi appalti petroliferi alle compagnie statunitensi e britanniche. L’evoluzione successiva della politica irachena, tuttavia, ha messo in discussione l’egemonia americana sul Paese e sul suo petrolio.

Le riserve del Venezuela sono le più ingenti del mondo, ma sono sfruttate solo in minima parte. L’estrazione del petrolio venezuelano, noto come extrapesado (superpesante), è particolarmente difficile e costosa. Le operazioni, inoltre, sono gestite dalla inefficiente compagnia statale Petróleos de Venezuela (PDVSA).

A questo si aggiungono le tensioni con l’Occidente. I governi di Hugo Chávez (1999-2013) e Nicolás Maduro (2013-presente) si sono opposti con successo alle ingerenze degli altri Paesi, in primis gli Stati Uniti, ma le tensioni hanno impedito il trasferimento di know how e capitali per l’industria petrolifera e hanno contribuito al peggioramento delle condizioni sociali ed economiche. Dal 2014 il Venezuela, che per molti anni è stato uno dei principali fornitori degli Stati Uniti, è precipitato in una seria crisi.

La Nigeria è il Paese che mostra con maggiore chiarezza come il petrolio non sia sufficiente a creare benessere: è un Paese ricco di “oro nero” ma, nello stesso tempo, è uno dei più poveri al mondo. Il petrolio nigeriano è concentrato nell’area del Delta del fiume Niger e l’economia del Paese è completamente dipendente dalla sua esportazione. Tuttavia, la ricchezza proveniente dall'”oro nero” va a beneficio di ristrette élite politico-militari e delle compagnie straniere. Inoltre, il petrolio provoca instabilità nell’area del Delta, che negli anni ’60-’70 fu teatro di una sanguinosissima guerra civile e ancora oggi è interessata dallo scontro tra le forze governative e le milizie locali. Il petrolio, infine, è all’origine di seri problemi ambientali, che aggravano ulteriormente le condizioni della popolazione.

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