Un sistema diffuso soprattutto al Nord e che coinvolge il riciclo: criticità per le PMI, che dovrebbero attingere maggiormente alla finanza sostenibile

Nel 2024 quasi metà delle imprese italiane ha avviato un percorso verso l’economia circolare. Si tratta della dimostrazione conclamata che il sistema produttivo nazionale è all’avanguardia rispetto ad altre economie nella transizione verso modelli di produzione e consumo circolari. Cresce, dunque, la cultura che punta a preservare il valore dei materiali e dei prodotti nel tempo, riducendo fra l’altro la produzione di nuovi rifiuti.

Tematiche e questioni affrontate nel periodico approfondimento a cura della Direzione Strategie Settoriali e Impatto del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti dal titolo “Economia circolare: una leva per la competitività delle imprese”. La maggior parte delle imprese particolarmente sensibili all’economia circolare si trova al Nord. Tra quelle più grandi, è molto diffusa la pratica del riciclo, con studi per prolungare la vita dei prodotti.

L’economia circolare tra le imprese italiane

I dati che emergono dalla ricerca sono particolarmente interessanti. Complessivamente, le pratiche adottate hanno generato un risparmio rispetto ai costi di produzione delle imprese manifatturiere superiore a 16 miliardi di euro. Pari però solo al 15% del potenziale teorico stimato al 2030. In generale, le imprese dimostrano di avere un più elevato potenziale innovativo, dovendo far leva su nuove tecnologie, nuovi processi produttivi e nuovi modelli di business.

Basti pensare che il nostro Paese risulta essere al secondo posto in Europa – dopo la Germania – per numero di brevetti circolari, di cui oltre la metà depositati da PMI. Eppure, si registrano criticità: il nostro sistema sta faticando a migliorare le proprie performance, anche per via di un livello di investimento inferiore rispetto ad altre realtà europee.

L’importanza delle PMI

Un risultato certamente condizionato dal difficile contesto economico che sta caratterizzando gli ultimi anni. Ma c’è anche dell’altro: a cominciare dalle caratteristiche della struttura imprenditoriale italiana, composta prevalentemente da piccole e microimprese con una limitata capacità di investimento. Ecco perché l’obiettivo, secondo CDP, dovrà essere la “valorizzazione della forza propulsiva delle PMI per la transizione ad un’economia circolare”.

Come? Attraverso le seguenti iniziative:

  • un miglior accesso agli investimenti in macchinari e tecnologie nonché per i beni intangibili;
  • la finanza sostenibile per colmare i gap di investimento, attività in cui gli Istituti Nazionali di Promozione, con la loro visione a lungo termine, svolgono un ruolo centrale;
  • il coinvolgimento in ecosistemi che consentono la collaborazione e lo scambio di pratiche e conoscenze.

La finanza sostenibile

Le PMI hanno più difficoltà di accesso al credito: per tale motivo, quasi una su due ricorre all’autofinanziamento. In questo contesto, assume particolare importanza la finanza sostenibile. Secondo CDP, questo strumento “potrebbe contribuire significativamente alla promozione di investimenti mirati verso pratiche più sostenibili grazie anche a prodotti finanziari appositamente dedicati per sostenere progetti di economia circolare”.

Attualmente l’adozione di strumenti di finanza sostenibile (green loangreen bondprivate equity sostenibile) non è ancora molto diffusa. Solo il 26% delle PMI ne utilizza almeno uno strumento. Imprese che, a causa degli elevati costi e per la mancanza di competenze interne, hanno difficoltà a misurare e comunicare le proprie performance ambientali, sociali e di governance (ESG). Un requisito fondamentale per l’accesso alla finanza sostenibile.

Riproduzione: Teknoring.com

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