Betty Min: dott.ssa D’Amato può parlarci dell’evoluzione del rapporto tra AI ed editoria?
Alessandra D’Amato: L’intelligenza artificiale nel settore editoriale ha registrato progressi costanti per oltre un decennio. Inizialmente è stata utilizzata limitatamente a previsioni del tempo, riepiloghi sportivi e resoconti finanziari, questa automazione si è poi espansa fino a coprire uno spettro più ampio di attività creative.
Negli anni 2020, l’attenzione si è spostata in gran parte sull’intelligenza artificiale generativa in grado di elaborare ed emulare il linguaggio umano, attraverso la creazione di modelli avanzati di apprendimento automatico, che identificano altri modelli all’interno di set di dati non strutturati. Questi modelli potrebbero analizzare milioni di immagini, libri e articoli per generare contenuti scritti originali e straordinariamente simili a quelli umani, basati su parametri di input specifici.
Mettere la potenza di calcolo dell’intelligenza artificiale al servizio del giornalismo, facilitare il lavoro nell’ambito di indagini su larga scala, tradurre i contenuti scritti in lingue straniere o produrre versioni audio per ampliare il pubblico di lettori e diffondere informazioni a nuovi pubblici, sono i primi grandi vantaggi da cogliere e sono stati appunto colti dalle più grandi organizzazioni del settore e non solo:
Il mese scorso Google ha lanciato un programma privato per una manciata di editori indipendenti, fornendo alle redazioni l’accesso alla versione beta di una piattaforma di intelligenza artificiale generativa inedita.
Inoltre, dal momento dell’introduzione del sistema di opt-out, risulta che già numerosi siti web con una grande componente editoriale abbiano esercitato questa opzione, tra cui naturalmente molti siti di informazione come Guardian, CNN, Reuters, Washington Post, Bloomberg e New York Times.
Betty Min: Lei nasce come Angel Investor, le partnership e gli investimenti nel settore cosa registrano?
Alessandra D’Amato: essendo una persona pragmatica mi piacerebbe risponderle con qualche esempio pratico:
OpenAI ha annunciato una partnership con Le Monde e Prisa Media – gruppo editoriale spagnolo. Questi generi di accordi consentono a OpenAI di attingere al corpus dei giornali per stabilire e migliorare l’affidabilità delle risposte di ChatGPT. In cambio, Le Monde e Prisa Media riceveranno un cospicuo pagamento per il disturbo. Si tratta di accordi a lungo termine, concepiti come una vera e propria partnership. Secondo i termini dell’accordo, i giornali coinvolti potranno attingere alle tecnologie di OpenAI per sviluppare progetti e funzionalità che utilizzano l’AI.
Inoltre, molte start up editoriali innovative sono in grande espansione e sotto stretta osservazione degli investitori di tutto il mondo, basti pensare al caso Freeda, una startup italiana capace di ottenere un round di investimento da 10 milioni di dollari. Cioè, di una taglia che spesso manca nel nostro ecosistema. Il principale investitore è Alven Capital. Ma hanno partecipato anche U-Start e alcuni Angel Investor.
Betty Min: come ha fatto una startup editoriale italiana a conquistare la fiducia degli investitori stranieri?
Alessandra D’Amato: Freeda è nata nel settembre 2016. Con un target molto preciso: le donne millennial, tra i 18 e i 34 anni. Cioè, quella fascia che spesso sfugge ai media tradizionali. Freeda è invece riuscita a catturarla, anche senza una homepage, infatti, vive sulle piattaforme social: Facebook, innanzitutto. Dove ha oltre 1,3 milioni di fan. Ma anche Instagram (arrivato più tardi), dove i follower sono quasi 600 mila. Questo ci fa comprendere che l’editoria ha assunto una veste completamente nuova e gli americani lo hanno intuito da tempo. E’ un pensiero che condivido pienamente, non credo che i giovani siano più attratti da notizie frivole, credo piuttosto che la forma in cui altre tipologie di notizie vengono presentate, debba essere “svecchiata”. Il caso studio sopra rappresentato ne è una conferma, la fascia d’età che abbraccia è giovane, i contenuti sono reali e attuali. Veicolare attraverso questi mezzi anche altre tipologie di notizie può essere il giusto compromesso.
In Italia La Repubblica sta abbracciando una nuova rappresentazione delle notizie in chiave digitale e short, acquisendo così molti followers e mantenendo la totalità della popolazione informata.
Betty Min: parlando dell’Italia, secondo Lei il Paese sta accogliendo tale evoluzione?
Alessandra D’Amato: Se lo specchio del Pese è il suo governo, allora mi fa pensare positivo, dato che la presidente Meloni ha affidato a Giuliano Amato, la guida della nuova commissione sull’intelligenza artificiale nel campo dell’editoria, ribattezzata commissione algoritmi.
La commissione avrà il compito di valutare i rischi e le opportunità che l’applicazione dell’intelligenza artificiale può avere nel mercato dell’editoria e sul giornalismo. Sfortunatamente i rischi ci sono particolarmente noti, vista l’enorme diffusione di immagini o video deepfake e l’uso massiccio di chatbot per scrivere articoli e libri. Obiettivo della commissione sarà quindi individuare i limiti relativi ai diversi ambiti di applicazione possibile, ma anche individuare le potenzialità di sviluppo del settore.
Betty Min: Tra i rischi sembra esserci anche quello relativo al diritto d’autore, conferma?
Alessandra D’Amato: Gli strumenti basati sulla AI stanno trasformando rapidamente il settore dei contenuti rendendone più veloce, economica ed efficiente la creazione. Ma qui, come ha sottolineato, nasce appunto il dibattito dottrinale sulla possibilità di proteggere con il copyright le opere generate da sistemi di IA è, a mio giudizio, l’osservazione empirica della forma adattiva che assumono gli operatori del mercato di fronte a questo salto quantico.
Si pensi al Natural Language Processing (NLP), una tipologia di intelligenza artificiale che si occupa dell’interazione dei computer con il linguaggio umano, attraverso l’uso di algoritmi deep learning denominati Large Language Models (LLM). Essi ricadono nella definizione di “foundation models” prevista nel draft AI Act. I LLM sono addestrati usando enormi datasets. Ciò consente loro di riconoscere, tradurre, prevedere o generare testo o altri contenuti.
In ogni caso si sta procedendo a creare opportune tecnologie di protezione. Il New York Times, oltre a esercitare l’opt-out, ha scelto di adottare misure contrattuali preventive per impedire che i suoi contenuti vengano utilizzati per addestrare modelli di AI. Lo scorso 3 agosto, infatti, il NYT ha aggiornato i suoi Termini di Servizio in modo da vietare specificamente di “utilizzare il Contenuto [del sito web n.d.r.] per lo sviluppo di qualsiasi programma software, incluso, ma non limitato a, l’addestramento di un sistema di apprendimento automatico o di intelligenza artificiale (AI)“.
L’obiettivo del NYT e di tutti è quindi quello di negare alle società di sviluppo di AI, di accedere ai propri contenuti con strumenti automatizzati che siano finalizzati alla raccolta, alla copia e all’elaborazione degli stessi per l’addestramento delle AI stesse, senza una specifica autorizzazione.
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