Domenico De Sole, ex presidente del gruppo Gucci, ha affermato che “il negozio è da considerarsi the moment of truth, il momento culminante e supremo nel quale la strategia di marca si materializza. Il successo delle aziende della moda e del lusso si è realizzato grazie alla qualità del loro prodotto, alla loro innovazione, alla loro cura dei dettagli, ma si è consolidato grazie alla coerente e alla sapiente realizzazione della rete dei negozi”.

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Effettivamente è nel negozio, al momento dell’acquisto che la capacità seduttrice di un capo di abbigliamento è messa alla prova e il suo valore immateriale e simbolico portato a compimento e trasmesso in un ambiente adeguato. E’ la distribuzione stessa che diventa comunicazione…e il consumo dei prodotti moda non è del tutto razionale.

Il ruolo della distribuzione nel tessile-moda è considerato (ed è stato) un fattore fondamentale di successo: il suo impatto sulla struttura industriale e sulle performance è indiscutibile. E’ impossibile comprendere l’evoluzione dell’industria italiana della moda senza considerare quella del sistema distributivo.

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Lo sviluppo di reti distributive monomarca è stato uno dei principali obiettivi degli investimenti dei grandi brand, che hanno spostato il baricentro delle imprese dalla manifattura al retail.

Sono nati quelli che in altro articolo ho definito “templi delle griffes”, fattori competitivi estremamente costosi e rischiosi da utilizzare, utili però per trasferire al cliente finale una customer experience di alto livello, secondo un modello di business che prevede un rapporto e uno scambio (o meglio una raccolta) di informazioni diretto con il consumatore. Per l’impresa, anche quella con solide basi manifatturiere, la gestione dei canali distributivi è un’area cruciale che comporta scelte da cui possono dipendere il successo o l’insuccesso.

Dall’altro lato, la tecnologia con la rete internet e i social network, sono strumenti più recenti e innovativi, strumenti che più si adattano alle nuove generazioni di consumatori, strumenti sui quali i “grandi” spesso inseguono. Si tratta di strumenti più democratici e a disposizione di tutte le aziende, comprese quelle più piccole e innovative. E sono canali ai quali i nuovi consumatori sempre più si rivolgono per documentarsi e acquistare.

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Christian Wiediger on Unsplash

Si parla di una rivoluzione nei ruoli della tradizionale suddivisione all’interno del sistema moda tra chi progetta, produce, rispetta standard qualitativi, comunica, distribuisce ai consumatori: una suddivisione netta non è più possibile. Non a caso solo negli ultimi anni sono entrate prepotentemente nel linguaggio economico-distributivo (e nel nostro) le parole “location” e “flagship store”: prodotto, servizio, ambiente, customer experience e value proposition sono indissolubilmente legati.

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L’importanza della distribuzione al dettaglio nella moda trova conferma nei margini commerciali (il famoso “ricarico” o “moltiplicatore”) normalmente applicati nel settore, molto più elevati della media. Del resto una importante parte del valore percepito dal consumatore viene generato proprio nel punto vendita. Inoltre, una importante parte dell’elevato rischio insito nella filiera moda grava sulle spalle dell’ultimo passaggio che i prodotti devono superare per raggiungere i consumatori: il retail.

In seguito all’avvenuta rivoluzione, si è sfaldata la suddivisione dei compiti tra industria e retail e c’è stato un riassetto delle attività di marketing, per cui da un lato l’industria integra il negozio tra gli strumenti principali, dall’altro il retail allarga la gamma dei servizi offerti al cliente.

Il negozio non è più un semplice canale di distribuzione delle merci o un modo efficiente di mettere a disposizione dei consumatori quanto è stato prodotto nelle manifatture.

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Altri servizi sono diventati elementi competitivi fondamentali nel commercio: ampliano il principio del “rendere il prodotto facilmente disponibile alla clientela”, trattenendo il consumatore e combinando in un unico luogo più servizi: in essi c’è la differenza tra distribuzione tradizionale e il retail attuale.

Si tratta di un’ampia gamma di attività, che va dalla ristorazione all’interno del negozio, alla creazione di spazi ludici non solo per bambini, a servizi di riparazione, all’informazione al consumatore, alla formazione del personale di vendita. Si potenzia la dimensione emozionale dello shopping, attraverso l’utilizzo di strumenti come il visual merchandising, l’ambiente, l’architettura del negozio, l’illuminazione, le fragranze diffuse, ecc. Un personale adeguatamente formato può trasmettere informazioni e sensazioni al consumatore, coinvolgendolo emozionalmente, facendo la differenza.

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La parola che si affianca a queste molteplici attività è “risorse”: infatti la quantità di risorse finanziarie e umane dedicate a queste funzioni è crescente. Gli abiti sono caricati di un valore intangibile che viene, come detto, creato anche nel punto vendita: a maggior ragione in un settore come il nostro, considerata cioè la natura ibrida dei prodotti della moda, a metà tra prodotti manifatturieri e prodotti culturali. Perché la moda è una combinazione di elementi materiali e immateriali. Altro discorso è l’eccessiva predominanza di alcuni elementi su altri…

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Svetlana Gumerova on Unsplash

Se pensiamo ai costi della distribuzione nel settore moda, con le sue particolarità, dobbiamo considerare: costo dell’invenduto (impossibilità di predeterminare se un capo sarà un best-seller o un flop della stagione), rapido calo del valore del capo a ciclo moda terminato, rischio assortimento o collezione sbagliata, costi di comunicazione e visual merchandising, costi di ammortamento spese/investimenti pluriennali: buonuscita, affitto (in particolare nei centri storici) o costi d’acquisto, progettazione e allestimento negozio direttamente proporzionale al livello del prodotto, rinnovo sempre più frequente dell’allestimento stesso,…

Tipico della moda è attribuire un grande valore all’apertura di punti vendita nelle strade universalmente riconosciute come deputate allo shopping, non solo per sfruttare il flusso generato da marchi noti, ma per usare il valore simbolico del punto vendita come segnale di appartenenza ad una cerchia ristretta di marchi “che contano” a livello globale. Il valore simbolico è particolarmente importante per segnalare ai propri clienti in giro per il mondo di rappresentare una realtà aziendale credibile e “che conta”. Il punto vendita all’interno di alcune zone commerciali è quindi un investimento di comunicazione e marketing prima ancora che commerciale. E non è un investimento di piccola entità.

La moda si concentra in aree specializzate e con forte valore segnaletico e simbolico: il razionamento nell’offerta di spazi commerciali e i crescenti costi di subentro sono conseguenze evidenti.

Per dare un’idea, gli affitti commerciali nelle zone deputate allo shopping vanno da 4,7 a 7,3 migliaia di euro/mq, i tempi di rinnovo allestimento vanno da 3 a 6 anni (naturalmente più breve per i flagship store più significativi) e i costi di rinnovo allestimento vanno da 500 a oltre 3.500 euro/mq (a seconda del posizionamento).

Viene stimato che le componenti immateriali attribuibili al punto vendita incidono nell’ordine del 12-15% sul prezzo pagato dal consumatore.

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Manny Becerra on Unsplash

La distribuzione al dettaglio italiana, non solo nella moda, sino a fine anni ’80 è rimasta ancorata a una struttura tradizionale e impermeabile allo sviluppo dei nuovi format commerciali (grandi superfici, catene) che in quegli anni si diffondevano in Europa, a partire dalla Francia. C’era infatti grande numerosità dei punti vendita, peso significativo dell’ambulantato e dei mercati rionali, centralità dei negozi indipendenti.

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Taraqur Rahman on Unsplash

Dai primi anni ’90 il sistema distributivo italiano della moda ha cominciato a trasformarsi, con nuovi modelli distributivi, spesso introdotti da insegne straniere al momento del loro ingresso sul mercato italiano. Abbiamo sperimentato un’esplosione delle catene e delle grandi superfici, una corrispettiva diminuzione dei negozi indipendenti, sebbene ancora maggioritari. Le quote di mercato sono notevolmente cresciute per catene e grandi superfici, mentre si sono ridotte per il dettaglio indipendente.

Pur oggetto di grandi cambiamenti, la distribuzione in Italia resta ancora oggi estremamente frammentata, con un numero elevatissimo di imprese e punti vendita sia in termini assoluti sia in termini relativi alla popolazione, diversamente da quanto avviene in altri Paesi europei.

Ma di “Store e futuro” ho parlato in altro articolo: i negozi indipendenti hanno varie carte da giocare per contrastare e invertire questa tendenza: ci sono elementi, nei negozi, nei servizi da offrire e nei consumatori, che possono essere utilizzati in questa direzione.

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Toa Heftiba on Unsplash

I negozi multimarca indipendenti: concept-store, boutiques, negozi di confezione tradizionali, negozi misti (anche di streetwear e jeanseria), negozi di articoli sportivi e per il tempo libero, puntano su prossimità, conoscenza del cliente, rapporto di fiducia, personalizzazione dell’offerta, varietà della gamma. Le criticità sono riconducibili a: rischio di errore nella selezione dell’offerta, raccolta e gestione delle informazioni e delle tendenze, conoscenza limitata del mercato (che si è allargato), capacità più limitata di concentrarsi su nicchie di stili anziché su nicchie di consumatori abituali, intrinseca limitata capacità comunicativa.

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Adeolu Eletu on U nsplash

Le catene di negozi: puntano su miglioramento flusso dati, migliore gestione scorte e approvvigionamenti, abbattimento del time-to-market e quindi del rischio di invenduto e di deprezzamento, ottimizzazione della logistica, maggiore capacità e coerenza comunicativa in tutte le fasi della filiera punto vendita compreso. L’integrazione di molte aziende produttive verso la distribuzione è stata la variante nazionale di questo format, sin dall’inizio degli anni ’90, quando i brand si trasformarono in insegne.

Le aziende di moda investono molte risorse nella cura dell’immagine e del posizionamento dei propri capi presso il consumatore. Tale cura si traduce in una grande attenzione nella scelta della location dei punti vendita, del layout del negozio, della selezione dei prodotti sugli scaffali. Sono tutte attività sulle quali, con il crescere della competizione, occorre esercitare il massimo controllo e diventano quindi più difficilmente delegabili a negozi indipendenti e multimarca e tanto meno alla mediazione di importatori o agenti.

Ciò ha finito per rendere più sfumato il confine tra produzione e distribuzione non solo come esito di un’integrazione a valle dei produttori, ma anche perché le stesse imprese della distribuzione, per ragioni simili al produttore, sia pure sul fronte opposto, hanno iniziato una progressiva integrazione a monte. Le aziende di moda hanno sfruttato la distribuzione diretta anche come strumento di internazionalizzazione.

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I Grandi Magazzini: il grande magazzino è stato nell’abbigliamento, storicamente, il primo canale ad introdurre la produzione industriale di serie e il libero servizio. All’interno di una stessa merceologia sono possibili divisioni secondo categorie di prodotto, marchio aziendale e infine secondo stili di consumo. Frequente anche l’introduzione di un marchio del distributore (private label), a prezzi inferiori a quelli dei marchi industriali, il che permette al distributore stesso di accaparrarsi una maggior quota di valore aggiunto e di migliorare nel consumatore la percezione dell’insegna.

Un punto di forza dei grandi magazzini è certamente la possibilità di accostare più tipologie di prodotto. Ma la formula del grande magazzino (department store), che fino alla fine degli anni Novanta è stato uno dei principali traini della modernizzazione della distribuzione della moda sia all’estero che in Italia, ha perso terreno nel confronto con altre forme di distribuzione organizzata (in particolare delle catene low-cost) e dei negozi monomarca.

Nei Grandi Magazzini sono state rinnovate le formule, creando corner sempre più ampi dedicati ai grandi marchi, aggiungendo servizi aggiuntivi (es: sartoria), personalizzando l’offerta e incrementando la frequenza di rinnovo dell’assortimento: ciò ha contribuito ad aumentare il prezzo medio del venduto.

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Grandi Superfici specializzate: concept innovativo e in sviluppo, posizionate normalmente in luoghi periferici, da poco hanno raggiunto dimensioni nazionali, spesso organizzate per corner e ampio assortimento, sfruttano economie di scala date dalle dimensioni e dal numero dei negozi, servizi pre e post-vendita competitivi o inclusi nel prezzo, puntano anche su qualità e contenuto moda. Penso, a puro titolo di esempio, a Sorelle Ramonda® e Sport Specialist®.

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I Factory Outlet: pronipoti degli spacci aziendali e degli stockisti. Dai primi spartani esperimenti di spaccio aziendale si è passati infatti a formule più evolute, con un layout accattivante e ricercato, in contesti innovativi e con servizi di assistenza all’acquisto. I Factory Outlet hanno rivitalizzato l’idea della vendita diretta, cambiandone totalmente caratteristiche e funzioni rispetto alla formula dello spaccio aziendale.

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La formula di maggior successo di vendita diretta degli invenduti di stagione è quella dei Factory Outlet Center: aggregazione spaziale di più punti vendita monomarca. Sono solitamente localizzati lungo grandi arterie di collegamento, hanno grande accessibilità e propongono un’offerta di medio-alto livello, fino ai marchi più prestigiosi, brand che per gli “outlet” realizzano anche serie apposite, evitando il pericolo di un “inquinamento” del mercato e la mancanza di un controllo diretto sulla destinazione finale del prodotto.

I Factory Outlet sono organizzati per sfruttare le sinergie e le capacità di vendita dei diversi marchi e l’integrazione con altri format di offerta legati a tempo libero e all’intrattenimento, ai servizi di ristorazione, alla promozione turistica. Hanno bacini di utenza estesi, su scala interprovinciale e interregionale.

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Mark Konig on Unsplash

E- Commerce: canale che si è sviluppato vertiginosamente anche nel mercato della moda, con la diffusione della rete Internet. Un vero boom, fenomeno inatteso nella sua velocità dagli stessi operatori. Il salto di qualità si è avuto quando l’e-Commerce ha smesso di essere una versione moderna dei cataloghi ed è riuscito a riprodurre, modernizzandole e arricchendole, le caratteristiche dei canali tradizionali.

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Partendo dalla gestione degli stock invenduti, si sono sviluppati siti e-commerce dedicati, store on line, vendite on line delle aziende e dei brand, dei distributori e dei negozi stessi, affiancando le vendite fisiche. Il modello di business degli e-tailer si è poi sviluppato allargando l’offerta, introducendo anche capi trendy della stagione in corso.

Si parla, come nei negozi fisici, di monobrand o di multibrand, di multi prodotto, sino ad arrivare a piattaforme leader. Si sono poi sviluppate piattaforme specializzate nella vendita on-line di vintage, usato, vendita CtoC, noleggio, reselling.

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Carlos Muza on U nsplash

L’e-commerce e l’acquisto on-line sono diventati parte integrante della nostra vita quotidiana, per la raccolta delle informazioni, per il confronto e per l’acquisto: la nostra esperienza di acquisto prevede oggi sia acquisti off-line che acquisti on-line.

Riproduzione Linkedin: https://www.linkedin.com/pulse/la-distribuzione-tessile-moda-dario-paracchini/?originalSubdomain=it

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