Indonesia, e anche altri Paesi ASEAN sembrano avere ottime prospettive di sviluppo economico al punto che il blocco potrebbe divenire la quarta economia mondiale entro il 2030. La ripresa post-Covid prosegue – seppur in modo differente tra i vari membri del blocco – anche grazie a un maggiore coordinamento delle politiche economiche e sanitarie a livello regionale. I dieci sono un laboratorio di innovazione digitale e tecnologica mondiale sempre più importante, anche a fronte di alcune complicazioni. Se infatti i loro governi continuano a incoraggiare la data economy, il forte controllo sui cittadini esercitato dalle autorità pubbliche frena la crescita del settore.

Altro settore dove l’ASEAN giocherà un ruolo sempre più importante è quello dei semiconduttori. In un contesto di crisi globale delle catene di approvvigionamento, questa industria vale attualmente il 22% dell’export mondiale. Singapore e Malesia sono già grandi centri di produzione di chip e possono attrarre nuovi investimenti da USA, Taiwan e Corea. Thailandia e Vietnam hanno varato dei piani ambiziosi di incentivi e investimenti per agevolare l’apertura di nuovi stabilimenti manifatturieri nel proprio territorio. Anche l’Indonesia rappresenta un ambiente dallo sviluppo promettente in questi settori.

Un limite al pieno sviluppo resta però la mancanza di infrastrutture e accordi commerciali significativi con i partner internazionali. Con il delinearsi di questi scenari, il blocco può trarre grande vantaggio dalla liberalizzazione degli scambi commerciali. In particolare, l’entrata in vigore del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) – che include, oltre ai Paesi ASEAN, Cina, Giappone, Australia e Nuova Zelanda – potrebbe rendere queste economie, già orientate all’export, ancora più dinamiche. Senza contare il ruolo dell’UE, che resta un partner commerciale di sviluppo fondamentale per l’ASEAN, interlocutore con cui costruire rapporti solidi e duraturi. Dopo i trattati di libero scambio conclusi con Vietnam e Singapore, Bruxelles potrebbe concludere degli accordi anche con Indonesia – i negoziati sono in fase avanzata – e Malesia.

 Pur con diverse sfumature anche accese, i Paesi ASEAN hanno fino ad ora dimostrato di sapersi destreggiare tra le due superpotenze e di riuscire a mantenere una linea il più possibile “neutrale” e “autonoma”. Lo dimostra per esempio il viaggio a Pechino del segretario generale del Partito comunista vietnamita Nguen Phu Trong, il primo a essere ricevuto da Xi Jinping dopo la conclusione del XX Congresso del Partito comunista cinese.

In questo contesto di crescenti tensioni sia sul piano interno che internazionale, l’ASEAN diventa allora sempre più un interlocutore centrale nel coordinare le politiche dei Paesi di tutto il Sud-Est asiatico. Supportandosi a vicenda, i Paesi del blocco riescono a cooperare con Cina e USA senza rinunciare alla propria indipendenza o schierarsi troppo con uno o con l’altro. Intanto, l’organizzazione regionale è diventata anche luogo dove discutere “internamente” di questioni controverse – dalla sovranità sulle isole Spratly alla posizione da assumere su Myanmar per esempio – e senza subire il divide et impera che potrebbe esercitare la Cina.

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