Miglioramento del fatturato e dell’export al Sud, peggioramento per entrambi i fattori al Centro Nord. Questa la fotografia scattata nel rapporto “La competitività delle medie imprese del Mezzogiorno tra percezione dei rischi e strategie di innovazione” dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere presentato ieri a Bari. Una realtà produttiva che nel Meridione conta 431 società manifatturiere di capitali a controllo familiare, ciascuna con una forza lavoro compresa tra 50 e 499 unità e un volume di vendite tra i 17 e i 370 milioni di euro.
Nel 2023 il loro fatturato è aumentato del 2,7%, contro un calo del 3,6% di quelle del Centro-Nord, mentre l’export è salito del 4,4%, a fronte di una diminuzione del 2,1% delle altre. Anche per l’anno in corso le medie imprese del Sud prevedono di raggiungere un incremento intorno al 2% del proprio giro d’affari e delle esportazioni, in contrapposizione ad un calo atteso da quelle del resto d’Italia rispettivamente dell’1,5% e del 4%.
A fare la differenza sono anche gli investimenti nelle tecnologie 4.0 avviati o programmati entro il 2026 dall’87,3% delle medie imprese del Mezzogiorno (contro l’82,1% delle altre). Inoltre, il 41,3% inizierà a investire nell’intelligenza artificiale nei prossimi tre anni (contro il 37,5%), non solo per migliorare le attività, ma anche per realizzarne di nuove e più innovative. E lo farà anche grazie alle risorse previste dal PNRR: quasi il 50% delle medie imprese del Sud ritiene che possano contribuire alla crescita economica del Paese (contro il 43% delle altre), il 42,9% che siano utili per la transizione digitale (vs 41,1%) e il 37,5% per quella green (vs 33,7%). Tuttavia, a causa dell’eccessiva burocrazia e delle difficoltà nell’eseguire i progetti, la metà delle medie imprese meridionali valuta che il Piano Nazionale non apporterà nessun vantaggio.
“I dati confermano un interessante dinamismo del Sud che va sostenuto, anche incoraggiando il cammino intrapreso dalle medie imprese che si stanno rivelando un importante motore di sviluppo economico”. Lo ha detto il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che ha aggiunto “tuttavia, preoccupano l’eccesso di burocrazia che rischia di ostacolare il percorso di crescita del Mezzogiorno e le difficoltà di trovare i profili adeguati a cavalcare la complessità delle sfide dei nostri tempi, a partire dall’intelligenza artificiale”.
“La vitalità del nostro Mezzogiorno è testimoniata dal raddoppio, in 27 anni, del numero di medie imprese che vi operano. Un dato che mette in luce il connubio virtuoso tra una parte del nostro Paese che vuole realizzare il proprio riscatto economico e quella forma di imprenditoria che ha già contribuito alla fortuna del resto d’Italia” ha dichiarato Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca.
“Il dinamismo delle medie imprese mostra, in estrema sintesi, che è finita l’epoca di “piccolo è bello” e quella di oggi è probabilmente l’epoca di “cresci o esci”. Soprattutto per le medie imprese non ci sono ricette univoche ma certamente non si può, né si potrà, prescindere da un ruolo centrale delle medie imprese (quasi sempre piccole diventate grandi), affrontando con chiarezza e con un impegno forte delle istituzioni le sfide del mismatch occupazionale con adeguati investimenti, innovazione e capacità di fare sistema, coordinando la capacità di cooperare in un’ottica di sviluppo generale del Mezzogiorno”. Lo ha sottolineato la presidente della Camera di commercio di Bari, Luciana Di Bisceglie.
Raddoppiate al Sud in 27 anni
In poco più di un quarto di secolo il numero di aziende che compone il capitalismo familiare del Mezzogiorno è più che raddoppiato, passando da 213 imprese nel 1996 a 431 nel 2022, a fronte di una crescita complessiva delle imprese del Centro-Nord della stessa “taglia” pari al 13% (circa 3.600 unità nel 2022). In incremento soprattutto il numero delle Mid-Cap campane (+114 unità), pugliesi (+46) e siciliane (+27). Oggi le medie imprese del Sud Italia rappresentano appena lo 0,5% del tessuto imprenditoriale meridionale, ma realizzano complessivamente l’11,9% del valore aggiunto manifatturiero totale dell’area.
In Puglia le medie imprese sono 84 e generano l’11,4% del valore aggiunto manifatturiero dell’intera regione.
Si conferma la dinamicità delle medie imprese del Mezzogiorno, ma la pressione fiscale rimane più penalizzante
Le medie imprese meridionali hanno registrato dati in controtendenza rispetto alla tradizionale immagine di un Mezzogiorno omogeneamente attardato. Nel decennio 2013-2022, il loro fatturato è aumentato del 71,2% rispetto al 59,7% delle imprese del Centro-Nord. La loro produttività è cresciuta del 33,4% rispetto al 29,1% del resto d’Italia e la competitività è aumentata di 26 punti percentuali (+13,9 p.p. le altre aree), con un incremento significativo della forza lavoro (+29,6% vs +22,3%). Questi risultati positivi sono ancora più rilevanti se si considera che sono stati conseguiti nonostante una pressione fiscale che penalizza le Mid-Cap meridionali: il tax rate medio del decennio è pari al 31,3% contro il 28,5% degli altri territori. Se ad esse fosse stata imposta la medesima tassazione delle imprese del Centro-Nord, avrebbero risparmiato 220 milioni di euro nel decennio.
Anche il 2023 si è chiuso con una crescita delle vendite delle medie imprese meridionali pari al 2,7% contro un calo del 3,6% di quelle delle altre aree e, nonostante il contesto altamente sfidante, le attese per il 2024 rimangono cautamente ottimiste (+2% per fatturato ed esportazioni) a fronte di un’aspettativa negativa delle Mid-Cap del Centro Nord (rispettivamente, -1,5% e -4%).
Tax rate effettivo (imposte dirette; in %)
Fonte: Area Studi Mediobanca, dati propri.
Contro le difficoltà nel trovare personale adeguato, al Sud una impresa su tre assumerà stranieri
Il reperimento di profili professionali adeguati rischia di diventare il principale ostacolo alla crescita delle medie imprese, in particolare per quelle del Mezzogiorno.
Negli ultimi 24 mesi, oltre l’80% di esse ha dichiarato di aver avuto problemi legati a questa criticità; la quota si dimezza per le imprese delle altre aree (42,8%).
Anche per questo, il 33,3% di queste imprese punta ad assumere nei prossimi tre anni lavoratori stranieri, soprattutto per l’indisponibilità dei lavoratori italiani (61,9%) e per la mancanza di giovani (28,6%).
Sempre in tema di Capitale Umano, si segnala che la presenza femminile nelle medie imprese del Mezzogiorno si ragguaglia appena al 12,4% della forza lavoro (solo il 3% in una posizione manageriale); le quote sono più alte con riferimento alle Mid-Cap delle altre aree (27,3% e 9,7%).
Principali rischi di impresa per sinistrosità registrata negli ultimi 24 mesi
Fonte: indagine campionaria Area studi Mediobanca, 2024; in % delle imprese rispondenti. Possibili risposte multiple.
Motivazione per cui vengono assunti lavoratori extra-UE
Fonte: indagine Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere, 2024; in % delle imprese rispondenti. Possibili risposte multiple.
Catene di fornitura: la diversificazione come risposta ai problemi di approvvigionamento
Il 36,4% delle medie imprese del Sud ha subìto rallentamenti nell’attività aziendale dovuti alla rottura delle catene di fornitura (18,3% quelle del Centro-Nord). Per risolvere questa criticità, quasi la metà delle aziende meridionali punta alla diversificazione dei fornitori, in misura leggermente inferiore rispetto a quelle delle altre aree (54,9%). Meno di 1 su 3 intende rafforzare la collaborazione con i fornitori attuali (28,6%; 30,9% nelle altre aree), mentre la sostituzione viene adottata soltanto dal 9,5% delle imprese al Sud (7,8% altrove).
Principali strategie adottate sui mercati di fornitura
Fonte: indagine Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere, 2024; in % delle imprese rispondenti. Possibili risposte multiple.
Più digitali, un po’ meno green e mediamente fiduciose nei vantaggi apportati dal PNRR
L’87,3% delle Medie imprese del Mezzogiorno ha investito nel triennio 2021-2023 e/o investirà nel triennio 2024-2026 in tecnologie 4.0, contro l’82,1% di quelle del Centro Nord. Il principale investimento in questo ambito è rivolto alla digitalizzazione dei processi che riguarda il 78,9% delle medie aziende al Sud e l’85,5% di quelle del Centro-Nord. Seguono lo sviluppo di sistemi gestionali avanzati e/o di produzione additiva (55,3% nel Mezzogiorno, 57,4% altrove), l’ottimizzazione di magazzino e logistica (52,6% vs 45,3%) e il potenziamento della cybersecurity (50% vs 45,5%).
Nei prossimi tre anni, il 41,3% delle medie imprese meridionali inizierà ad utilizzare l’IA (contro il 37,5% del resto d’Italia), non solo per migliorare le attività, ma anche per realizzarne di nuove e più innovative.
Meno accentuato appare, invece, il passo verso la transizione green. Il 66,6% delle imprese del Mezzogiorno ha investito o investirà nel periodo considerato in sostenibilità e più dell’80% lo farà puntando sulle tecnologie per energie rinnovabili in linea con le altre aree del Paese.
Quasi il 50% delle medie imprese del Mezzogiorno ritiene che il PNRR contribuirà alla crescita economica del Paese, il 43% alla transizione digitale e poco più del 37% a quella green. In questi ambiti le Mid-Cap del Sud Italia risultano più fiduciose di quelle del Centro-Nord. Tuttavia, 1 impresa su 2 crede che il PNRR non porterà vantaggi competitivi per l’eccessivo iter burocratico e per la difficoltà nell’eseguire i progetti.
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