La Nuova Via della Seta

Fortemente voluta dal presidente Xi Jinping, La Belt and Road Initiative (BRI) è la strategia di crescita economica globale, che punta a promuovere attivamente la cooperazione internazionale attraverrso nuove modalità di sviluppo condiviso. Il governo cinese nel 2013 ha inserito la BRI quale pilastro della politica estera del Paese, incorporandola nel 2017 nella costituzione del partito con un obiettivo di completamento entro il 2049 per celebrare il centesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese. Il progetto imponente dedicato agli investimenti infrastrutturali mira a potenziare la connessione e stimolare gli scambi commerciali tramite una vasta rete che unisce l’Asia all’Europa e all’Africa, e si estende ulteriormente. Questo progetto prevede la creazione di corridoi terrestri, inclusi percorsi stradali e ferroviari noti come Silk Road Economic Belt, e si dirama verso il Sud-Est asiatico, il Golfo Persico, il Nord Africa e l’Europa attraverso vie marittime, nell’ambito della Maritime Silk Road Initiative.

La BRI ha come obiettivo non solo di espandere l’influenza economica e politica della Cina ma anche di facilitare il commercio internazionale e stimolare la crescita economica nelle regioni coinvolte.

Parallelamente all’espansione delle sue esportazioni, la Cina ha lavorato alla diversificazione delle sue importazioni, in particolare di risorse naturali come il petrolio, il gas naturale e i minerali. Questo cambiamento riflette la necessità della Cina di sostenere il suo rapido sviluppo economico e la crescente domanda interna. La diversificazione ha anche comportato l’intensificazione delle relazioni commerciali con paesi ricchi di risorse in Africa, America Latina, Medio Oriente e Asia Centrale, rafforzando così la sicurezza energetica della Cina e la sua influenza globale.

L’importo destinato dalla Belt and Road Initiative (BRI) per finanziare progetti infrastrutturali in nazioni esterne nel periodo 2017-2027 supera il triliardo di dollari, con previsioni che si estendono fino a 8 triliardi di dollari per il rinnovamento dei sistemi di trasporto, 14 triliardi di dollari dedicati esclusivamente al settore dell’energia e 2,3 triliardi di dollari per l’espansione delle reti di telecomunicazioni. La maggior parte dei fondi per questi ambiziosi progetti della BRI proviene dalla Cina attraverso la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), l’ente finanziario principale per i prestiti legati allo sviluppo di tali iniziative. Creata nel 2015, la AIIB ha iniziato con un fondo di 100 miliardi di dollari, di cui il 75% proveniente dalla regione Asia-Pacifico, e vede la Cina come il principale contributore con il 26,63% dei diritti di voto. Il 23 marzo 2019, l’Italia ha firmato un Memorandum of Understanding con il presidente cinese Xi Jinping, aderendo così alla Belt and Road Initiative (BRI), diventando il primo membro del G7 e dell’UE a partecipare a questo progetto. Contestualmente, sono stati siglati 29 accordi tra Italia e Cina, per un valore commerciale di 2,5 miliardi di euro. La BRI, insieme alla Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), che si pone come alternativa a istituzioni come l’FMI e la Banca Mondiale, mira a espandere l’influenza economica della Cina, specialmente verso i Paesi in via di sviluppo, offrendo prestiti i cui termini spesso includono l’accesso a risorse strategiche.

Per l’Italia, le principali opportunità derivanti dalla BRI includono la partecipazione delle imprese italiane a progetti nei Paesi terzi finanziati dall’iniziativa, un aumento delle esportazioni italiane in Cina, e potenziali investimenti diretti cinesi in Italia.

Tuttavia, la BRI non semplifica gli investimenti esteri in Cina né permette alle aziende straniere di accedere agli appalti pubblici cinesi, rendendo difficile per le imprese italiane investire in nuovi impianti produttivi in Cina a causa dell’elevato impegno a lungo termine richiesto. Un’alternativa più praticabile per le aziende italiane potrebbe essere lo sviluppo di joint venture o acquisizioni con partner e imprese locali già consolidate.

Un’ulteriore opportunità di interesse per l’Italia nel contesto della BRI è rappresentata dall’importanza strategica dei porti italiani per la logistica e il trasporto merci. Aziende cinesi come Cosco Shipping Ports e Qingdao Port hanno già effettuato investimenti significativi nel terminal container di Vado Ligure. Oltre ai porti nel Mediterraneo già controllati dalla Cina, come Haifa, Pireo e Alexandria, c’è un forte interesse verso il porto di Trieste. Un accordo firmato nel marzo 2019 con la China Communications Construction Company mira a sviluppare una piattaforma logistica a Trieste, sfruttando i vantaggi dei punti franchi doganali e puntando ad aumentare significativamente il volume di treni merci.

La BRI, lanciata dalla Cina, come simbolo di un significativo allontanamento dall’isolamento storico del paese è comunemente associata unicamente alle sue rotte commerciali, il progetto ha anche una rilevante dimensione interna finalizzata allo sviluppo economico della Cina. Le disparità tra le regioni orientali e occidentali del paese, esacerbate dalle politiche di sviluppo degli anni ’80 e ’90, hanno creato un divario di sviluppo che la BRI cerca di colmare. L’obiettivo è migliorare l’interconnessione delle province interne per stimolare l’urbanizzazione e l’industrializzazione, riducendo le disuguaglianze con le aree costiere. La Digital Silk Road (DSR) rappresenta il ramo digitale dell’iniziativa, evidenziando l’ambizione della Cina di estendere la propria influenza nel settore digitale a livello globale.

Lanciata nel 2015, questa componente ha guadagnato notevole slancio durante la pandemia, a causa dell’aumento della domanda di servizi di e-commerce e della necessità di connettività virtuale. Gli sforzi di investimento di Pechino, in particolare nel 5G e nell’e-commerce, mirano a rafforzare il suo soft power e a stimolare la crescita economica nelle regioni in via di sviluppo dell’Africa orientale e del Sud-est asiatico.

Le nazioni coinvolte nella DSR hanno sperimentato alcuni dei tassi di crescita più elevati a livello mondiale, con economie come Vietnam, Laos e Cambogia che hanno mantenuto una crescita annuale superiore al 5% anche prima della pandemia. Il boom dell’economia digitale in queste aree non è solo un prodotto del loro rapido sviluppo, ma anche un fattore chiave che alimenta la loro espansione economica. Si prevede che entro il 2025, il valore del commercio elettronico nel Sud-est asiatico possa triplicare, raggiungendo i 300 miliardi di dollari annuali.

La promozione dell’innovazione digitale è diventata una strategia di sviluppo centrale per i governi di queste regioni, offrendo al contempo opportunità di investimento lucrose per le grandi aziende tecnologiche cinesi. Giganti come Huawei, Alibaba, Baidu e Tencent stanno contribuendo con infrastrutture, software e competenze per migliorare il trattamento, la condivisione e la memorizzazione dei dati, favorendo lo sviluppo di imprese locali, istituzioni finanziarie e progetti per la creazione di “città intelligenti”.

Nonostante l’apparente autonomia, le compagnie tecnologiche cinesi rimangono strettamente legate al Partito Comunista Cinese (PCC), che le supporta con incentivi finanziari per allinearle agli interessi nazionali.

Un esempio significativo è il progetto Peace di Huawei, che prevede la posa di un cavo in fibra ottica sottomarino di 12.000 chilometri che collegherà Asia, Europa e Africa orientale, partendo dal Pakistan. L’espansione della Cina nel settore dei cavi in fibra ottica sottomarini in Asia è notevole, con oltre il 50% dei progetti che vedono una partecipazione cinese, riflettendo l’ambizione di Pechino di sostenere la sua strategia di espansione digitale a livello internazionale.

Tuttavia, tra il 2018 e il 2019, la BRI ha incontrato resistenze, con i partner internazionali diventati più cauti nell’accettare i progetti cinesi a causa della paura di cadere nella “trappola del debito”. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente rallentato il progresso della BRI, mettendo in evidenza l’importanza delle infrastrutture digitali e di telecomunicazione. Questo contesto ha spinto la Cina a velocizzare lo sviluppo della Digital Silk Road, riconoscendo l’importanza della digitalizzazione in un mondo sempre più connesso ma anche fisicamente distanziato dalle restrizioni di viaggio e dai blocchi commerciali. Sintetizzando gli ultimi due decenni, il mondo ha assistito alla trasformazione della Cina da un’economia emergente a una potenza economica globale, attraverso l’adozione di strategie volte all’integrazione nel sistema commerciale mondiale, all’espansione delle sue esportazioni, al miglioramento della connettività regionale e alla diversificazione delle sue importazioni. Questi sviluppi hanno avuto un impatto profondo non solo sull’economia cinese ma anche sull’ordine economico globale.Fin dall’epoca della Rivoluzione Industriale nel diciannovesimo secolo, il petrolio ha giocato un ruolo fondamentale nell’economia mondiale, agendo come un importante catalizzatore per lo sviluppo industriale, il progresso della mobilità e il miglioramento della prosperità delle nazioni. Questa risorsa ha modellato intere economie e definito i rapporti di potere su scala globale.

Tuttavia, nel complesso e intricato contesto delle relazioni internazionali moderne, emerge una questione particolarmente rilevante: la Cina, considerata una delle principali potenze economiche emergenti del ventunesimo secolo, dispone di riserve di petrolio? Questa domanda, apparentemente diretta, introduce un’analisi complessa e dettagliata che si estende ben oltre la semplice disponibilità di risorse naturali, toccando temi cruciali come l’evoluzione degli scambi commerciali internazionali, le strategie energetiche e le dinamiche geopolitiche nel nuovo millennio. Questo capitolo esamina in che modo la Cina, a fronte di risorse petrolifere limitate, abbia canalizzato le proprie capacità industriali e innovative verso un settore cruciale e in rapida ascesa: quello delle batterie elettriche. Tale transizione non solo riflette un cambiamento nelle fonti energetiche, ma ristruttura anche profondamente le dinamiche degli scambi commerciali internazionali e le relazioni geopolitiche del ventunesimo secolo. Storicamente, la Cina è stata autosufficiente nel suo consumo di petrolio e ha esportato significative quantità fino a quando, nel 1993, la crescita della domanda interna non ha trasformato il paese in un importatore netto. Oggi, la Cina è il più grande importatore mondiale di petrolio, un fatto che la rende un attore decisivo nel determinare i prezzi globali del petrolio.

La Cina, pur essendo una superpotenza economica, affronta una significativa scarsità di risorse petrolifere interne, una condizione che può, sotto diversi punti di vista, rappresentare un punto di vulnerabilità nella sua aspirazione a mantenere e ampliare la propria crescita economica. Contrariamente a molte delle tradizionali potenze economiche e industriali, che hanno costruito la loro ricchezza sull’abbondanza di petrolio o sul facile accesso a esso, la Cina ha dovuto navigare un percorso più complesso e sfidante. La gestione delle risorse energetiche e la diversificazione delle fonti sono diventate fondamentali per mantenere la crescita e per posizionare la Cina come un leader responsabile sul palcoscenico internazionale, con implicazioni che vanno oltre l’energia e toccano la politica estera e la sostenibilità ambientale.

L’importanza cruciale del petrolio per la crescita economica di un paese è evidente, essendo il principale combustibile per l’industria moderna e il trasporto su larga scala, è essenziale per soddisfare l’imponente fabbisogno energetico della Cina. Non avendo sufficienti risorse petrolifere interne, la Cina ha dovuto fare affidamento su forniture estere per rispondere alla sua crescente richiesta di energia. Questa situazione ha spinto il paese a elaborare strategie e politiche specifiche per assicurarsi l’accesso al petrolio, un tema importante, che ha innescato ampi dibattiti a livello nazionale.

La sua dipendenza dalle importazioni di petrolio ha influenzato significativamente sia la politica energetica sia le relazioni globali. Da un lato, la Cina ha lavorato attivamente per assicurarsi un accesso costante al petrolio tramite accordi bilaterali con nazioni produttrici e investendo direttamente in infrastrutture energetiche. Dall’altro, queste azioni hanno generato tensioni e competizioni con altre grandi potenze, portando alla formazione di una rete complessa e dinamica di interessi e alleanze che continua a evolversi.

Durante il periodo pandemico, con il crollo dei prezzi del petrolio a livelli storicamente bassi, la Cina ha strategicamente colto l’opportunità di accumulare grandi quantità di greggio. Secondo quanto riportato da Bloomberg, circa un milione di barili di petrolio, in gran parte provenienti dall’Iraq, sono stati venduti dai magazzini della Shanghai International Energy Exchange (Ine) e messi sul mercato internazionale. Le società di trading internazionali hanno acquistato questi barili, attirate da prezzi finali, inclusivi dei costi di trasporto, più competitivi rispetto a quelli richiesti direttamente dai produttori di petrolio. Questa mossa ha introdotto un nuovo attore nel mercato delle esportazioni di petrolio, con la Cina che sembra posizionarsi come un fornitore alternativo più conveniente. Nonostante i volumi di petrolio esportati dalla Cina rimangano contenuti e non rappresentino ancora una minaccia diretta per i maggiori esportatori come l’Opec, gli Stati Uniti o la Russia, la decisione di Pechino di iniziare a esportare parte delle proprie riserve indica un cambiamento strategico significativo. Se questo trend dovesse continuare o intensificarsi, potrebbe avere implicazioni ribassiste per i prezzi del petrolio a livello globale, aggiungendo una nuova dinamica al mercato energetico internazionale.

Questo sviluppo riflette una flessibilità e una capacità di adattamento da parte della Cina nei confronti delle dinamiche globali del mercato del petrolio, sfruttando le sue scorte per influenzare il mercato e possibilmente per ottenere vantaggi economici a lungo termine. Le importazioni di petrolio russo a basso costo hanno consentito alla Cina di aumentare significativamente le sue riserve di petrolio a giugno 2023, registrando l’aumento mensile più marcato degli ultimi tre anni.

Attraverso i dati ufficiali cinesi è possibile stimare che in quel mese la Cina abbia aggiunto circa 2,1 milioni di barili al giorno alle sue riserve, sia commerciali che strategiche, un incremento rispetto ai 1,77 milioni di barili a maggio. Dato che la Cina non pubblica dettagli sugli inventari, gli analisti devono dedurre i volumi accumulati basandosi su calcoli che includono il petrolio importato e quello non elaborato internamente. I prezzi competitivi, hanno svolto un ruolo essenziale in questo significativo aumento delle scorte, poiché la Cina ha incrementato gli acquisti per approfittare degli sconti rispetto al petrolio proveniente da altre aree, inclusi i Paesi del Medio Oriente. Durante lo stesso periodo, secondo stime del Financial Times basate su dati doganali cinesi, le importazioni dalla Arabia Saudita, precedentemente il maggiore esportatore al mondo, hanno avuto una media di 1,88 milioni di barili al giorno. Secondo un sondaggio condotto da Bloomberg tra 12 analisti e consulenti del settore, si prevede un netto rallentamento nella domanda di petrolio in Cina per il 2024, la superpotenza vedrà la sua domanda ridursi a soli 500.000 barili al giorno nel prossimo anno, un terzo della crescita registrata nell’anno precedente, in un contesto di rallentamento della ripresa post-pandemica. Osservando che, nonostante l’aumento delle capacità nei prodotti petrolchimici, questi stanno affrontando margini di profitto limitati.

Queste considerazioni emergono in un periodo in cui anche la Cnpc, una delle principali compagnie energetiche cinesi, ha pubblicato una previsione indicando che il picco della domanda di petrolio in Cina si stabilizzerà tra i 780 e gli 800 milioni di tonnellate annuali entro il 2030. A lungo termine, si stima che la domanda di petrolio cinese scenderà a 220 milioni di tonnellate all’anno entro il 2060.

L’Agenzia internazionale per l’energia ha rilevato che quest’anno la Cina ha guidato l’aumento della domanda globale di petrolio, contribuendo al 75% dell’incremento totale. Nonostante quest’anno la crescita sia stata eccezionale, con un aumento annuale del 10%, sembra improbabile che questo trend possa ripetersi nel 2024. L’ormai consolidato ruolo del Dragone come attore chiave nella scena economica globale, implica che gli operatori dei mercati finanziari debbano prestare attenzione agli indicatori economici cinesi per prevedere le tendenze future del mercato, non solo nelle aree finanziarie e valutarie, ma anche in quelle delle materie prime. Alcuni analisti prevedono che un eventuale successo delle misure di stimolo economico in Cina potrebbe portare a un sensibile aumento dei prezzi del petrolio, a causa di un incremento nel consumo interno di petrolio nel paese. In questo contesto, l’accumulo di scorte da parte di molti raffinatori viene visto come una forma di protezione contro potenziali rischi di aumento dei prezzi.

Monitorare attentamente i seguenti indicatori economici cinesi è fondamentale per chi cerca di comprendere l’ulteriore sviluppo dei prezzi del petrolio:

  1. Prodotto Interno Lordo (PIL): Essenziale per valutare la performance economica, il PIL cinese ha subito rallentamenti a causa delle politiche di zero-COVID, ma con la loro recente abolizione, si prevede che un’ondata di consumi possa rinvigorire l’economia.
  2. Produzione Industriale: Questo indicatore riflette l’output delle fabbriche e delle miniere, essenziale per la domanda di petrolio. Sebbene la crescita rimanga sotto i livelli pre-pandemia, segnali di ripresa potrebbero avere impatti significativi sul mercato del petrolio.
  3. Bilancia dei Pagamenti: Il saldo commerciale della Cina, se positivo, indica un forte esportazione che può influenzare la domanda di petrolio. Una riduzione potrebbe segnalare una diminuzione della domanda globale e dei prezzi del petrolio.
  4. Vendite al Dettaglio: Indicano il livello di consumo interno. Dopo la fine delle restrizioni COVID-19, le vendite al dettaglio potrebbero supportare una ripresa economica più ampia.
  5. Tasso d’Interesse e Politica della Banca Centrale: La politica monetaria influisce sulla domanda di credito e, di conseguenza, sui consumi e sulla crescita economica, che a loro volta influenzano la domanda di petrolio.
  6. Incentivi Politici: Le strategie del governo cinese per stimolare l’economia, specialmente nel settore dei servizi, potrebbero modificare il tradizionale legame tra crescita economica e aumento dei prezzi del petrolio.

L’osservazione di questi indicatori non solo aiuta a comprendere il comportamento dell’economia cinese, ma offre anche una visione approfondita di come la crescita di questo gigante asiatico possa influenzare i mercati energetici globali.

Giuseppe Incarnato

Chairman & CEO IGI INVESTIMENTI GROUP

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