Conflitti e Cooperazione: Effetti sulla bilancia commerciale della Cina
La ricerca incessante di risorse energetiche da parte della Cina ha avuto un impatto significativo sulla sua politica estera e sulle sue relazioni internazionali. Questa dinamica ha portato non solo alla formazione di nuove alleanze ma anche all’esacerbazione di conflitti preesistenti e alla nascita di nuovi. In questo contesto, è essenziale analizzare come queste tensioni abbiano influenzato la bilancia commerciale cinese. La Cina, come molte altre potenze industrializzate, dipende fortemente dalle importazioni di risorse naturali, in particolare il petrolio e il gas naturale. Questa dipendenza ha spinto il Paese a espandere la sua presenza geopolitica in aree ricche di risorse come l’Africa, l’America Latina e il Medio Oriente. La strategia cinese ha spesso comportato l’uso di investimenti infrastrutturali massicci in cambio dell’accesso dei beni, un approccio noto come “diplomazia delle risorse”. Le relazioni tra la Cina e paesi come la Russia e l’Iran ne sono un esempio chiaro. Attraverso una serie di partenariati strategici e accordi energetici, la Cina ha cercato di assicurarsi un flusso costante di petrolio e gas, minimizzando il rischio di interruzioni dovute a instabilità politica o sanzioni internazionali. Tuttavia, queste alleanze hanno anche provocato tensioni con altre nazioni, specialmente gli Stati Uniti, che vedono l’espansione cinese come una minaccia alla propria sicurezza energetica e agli equilibri geopolitici globali. La bilancia commerciale del paese è strettamente legata alla sua politica estera e alla gestione delle sue fonti energetiche. Mentre le nuove alleanze hanno offerto opportunità di accesso a materie prime cruciali, i conflitti risultanti hanno portato a una serie di sfide che hanno perturbato gli scambi commerciali.
Questi eventi evidenziano la complessa interdipendenza tra geopolitica e commercio internazionale, un tema che continuerà a definire il panorama economico globale nei prossimi anni. La Cina, con la sua crescente influenza, rimane al centro di questa dinamica, giocando un ruolo cruciale nell’evoluzione degli scambi commerciali internazionali. Nel quadro delle sue iniziative per assicurarsi risorse energetiche vitali, tra le maggiori troviamo la rete di alleanze strategiche con i paesi del Medio Oriente, una regione notoriamente ricca di petrolio. Queste alleanze hanno non solo rafforzato la sicurezza energetica cinese ma hanno anche contribuito a un riassetto delle dinamiche geopolitiche regionali e globali. Attraverso una serie di accordi bilaterali con i principali produttori di petrolio della regione, la Cina ha notevolmente aumentato le sue importazioni di greggio e gas naturale, posizionandosi come un attore centrale nella dinamica energetica globale. L’Arabia Saudita, il principale fornitore di greggio della Cina, ha visto un notevole incremento nel volume di petrolio esportato verso la Cina. Questo sviluppo sottolinea non solo la crescente dipendenza energetica della Cina dalle risorse mediorientali ma anche il desiderio di Riyadh di diversificare i propri legami economici al di fuori delle tradizionali alleanze occidentali. Un cambiamento significativo nelle dinamiche di approvvigionamento energetico della Cina si è verificato nel 2020, quando l’Arabia Saudita ha superato la Russia come principale fornitore di petrolio. Le importazioni di greggio saudita verso la Cina hanno raggiunto i 1.690.000 barili al giorno in quell’anno. Questa crescita testimonia non solo la crescente dipendenza della Cina dalle importazioni di petrolio saudita ma anche l’approfondimento delle relazioni bilaterali tra i due paesi.
L’Arabia Saudita ha beneficiato economicamente da questa relazione, utilizzando i ricavi petroliferi per finanziare la sua vasta agenda di modernizzazione interna, mentre la Cina ha garantito una fonte di petrolio più stabile e affidabile. In parallelo, la Cina ha rafforzato le sue relazioni con l’Iran, firmando nel 2020 un ampio accordo strategico della durata di 25 anni. Questo accordo ha un significato particolare, coprendo settori vitali come l’energia, il petrolchimico, i trasporti e il militare. Al di là dell’importanza economica e commerciale, questo accordo ha una forte valenza geopolitica. Offrendo alla Cina diritti di prelazione su nuove scoperte energetiche e sconti significativi sull’acquisto di petrolio e gas naturale, l’Iran ha non solo fortificato la propria economia ma ha anche trovato un alleato strategico in un periodo di crescenti tensioni con gli Stati Uniti e i loro alleati. Questo accordo prevede investimenti cinesi per 400 miliardi di dollari in Iran, consolidando ulteriormente la loro partnership e garantendo alla Cina diritti preferenziali su nuove scoperte energetiche.
Infatti, la Cina sta cercando attivamente di consolidare il controllo sulle rotte strategiche attraverso l’Oman e il suo posizionamento geografico cruciale vicino allo Stretto di Hormuz, da cui transita un terzo del petrolio greggio mondiale. Questa area geografica è di grande interesse sia per la Cina sia per l’asse Cina-Russia, nel contesto della loro competizione con gli Stati Uniti e i suoi alleati per l’influenza globale. L’Oman, con le sue lunghe coste sul Golfo di Oman e sul Mar Arabico, è un punto logistico essenziale per il progetto “One Belt, One Road”. L’interesse della Cina per l’Oman è parallelo a quello dell’Iran, che cerca di aumentare la sua influenza nella regione attraverso accordi di esportazione di gas naturale con l’Oman, che non solo rafforzano le relazioni bilaterali ma consentono anche all’Iran di collegare i paesi vicini a una rete elettrica regionale sotto il suo controllo, rafforzando l’asse Cina-Russia nel Medio Oriente.
In particolare, l’accordo sul gas del 2013 tra Oman e Iran prevede l’importazione di gas iraniano in Oman per 25 anni, che dovrebbe aumentare significativamente con la costruzione di nuovi gasdotti collegati ai ricchi giacimenti di gas iraniani. Questo sviluppo non solo incrementerà le esportazioni di gas dall’Iran ma anche la sua capacità di esportazione di GNL a livello globale[1]. Gli accordi con gli Emirati Arabi Uniti e l’espansione delle attività nel Golfo evidenziano ulteriormente l’approccio della Cina, che utilizza il commercio e gli investimenti per cementare alleanze strategiche. La partnership con ADNOC e l’ingresso nel settore offshore degli Emirati integrano la presenza cinese nella regione, ampliando la sua rete di infrastrutture energetiche critica per il trasporto di petrolio e gas. In Iraq e Kuwait, la Cina ha approfittato delle sfide economiche e politiche locali per aumentare la sua presenza. Gli accordi firmati con l’Iraq, in particolare, non solo rafforzano le esportazioni di petrolio verso la Cina ma aiutano anche Baghdad a stabilizzare la sua economia post-conflitto. Il Kuwait, analogamente, vede nella Cina un partner crescente essenziale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo energetico a lungo termine, avendo firmato un accordo quinquennale per la fornitura di 130.000 barili al giorno, nonostante le sfide presentate dalla pandemia. Queste alleanze hanno però anche creato nuove tensioni. L’intensificarsi delle relazioni tra la Cina e i principali produttori di petrolio del Medio Oriente ha provocato preoccupazioni tra altri grandi consumatori di energia, come gli Stati Uniti e l’Europa, per le potenziali implicazioni sulla sicurezza energetica e l’equilibrio geopolitico globale. Inoltre, i legami rafforzati tra Cina e Iran sono particolarmente significativi in un contesto di sanzioni internazionali contro l’Iran, con la Cina che si posiziona come un contrappeso influente alle politiche occidentali.
Gli Stati Uniti, in particolare, hanno espresso preoccupazioni riguardo l’approfondirsi delle relazioni sino-mediorientali, temendo una riduzione della propria influenza nella regione. Il vertice di Anchorage ha dimostrato chiaramente le tensioni tra Pechino e Washington, con gli Stati Uniti che cercano di contenere l’espansione cinese attraverso politiche di allineamento e sicurezza energetica con i propri alleati tradizionali. Nel contesto di queste dinamiche complesse, la Cina continua a promuovere una politica energetica aggressiva, incentivando gli investimenti stranieri nel proprio settore energetico e diversificando le sue fonti di approvvigionamento. L’obiettivo a lungo termine di Pechino è di ridurre la propria vulnerabilità agli shock esterni e di posizionarsi come leader indiscusso nel panorama energetico globale. In conclusione, mentre la Cina rafforza la sua presenza nel Medio Oriente, il mondo assiste a un riposizionamento delle alleanze tradizionali e a un nuovo equilibrio di potere energetico, con implicazioni significative per la geopolitica e la sicurezza globale nei prossimi decenni[2]. L’Angola, una nazione riccamente dotata di risorse naturali come petrolio, gas, oro e diamanti, ha assunto un ruolo cruciale nella strategia energetica della Cina in Africa. L’intensificarsi dei legami economici tra l’Angola e la Cina ha trasformato il paesaggio economico angolano, portando a un incremento della produzione di petrolio e a un’allargata influenza cinese nella regione. La produzione di petrolio in Angola ha visto una crescita significativa negli ultimi anni, un fenomeno strettamente legato all’ingresso di investimenti cinesi nel settore energetico del paese. Questo aumento della produzione ha coinciso con una crescente domanda di risorse energetiche da parte della Cina, che ha visto l’Angola diventare uno dei suoi principali fornitori di petrolio.
Di conseguenza, la Cina è ora il maggiore importatore di petrolio angolano, un cambiamento che ha rafforzato economicamente entrambi i paesi ma ha anche segnato l’inizio di una dipendenza economica dell’Angola dalla Cina. Questa dipendenza dell’Angola dalla Cina è evidente non solo nel settore petrolifero ma anche in altri ambiti economici. Gli investimenti cinesi non si limitano al solo settore energetico; abbracciano anche infrastrutture, agricoltura e minerario, creando un ampio tessuto di interdipendenza economica. Questa situazione ha portato benefici immediati all’Angola in termini di sviluppo infrastrutturale e aumento delle esportazioni. Tuttavia, ha anche reso l’economia angolana vulnerabile alle fluttuazioni della domanda e della politica economica cinese. L’approfondimento delle relazioni economiche tra l’Angola e la Cina riflette una tendenza più ampia dell’influenza cinese in Africa. Mentre la Cina continua a cercare nuove risorse e mercati per sostenere la sua crescita economica, paesi come l’Angola emergono come partner chiave, ma anche come nazioni che devono navigare con cautela le acque della dipendenza economica esterna. Le future dinamiche tra questi due paesi dipenderanno non solo dalle esigenze economiche ma anche dalle scelte politiche e dall’equilibrio tra sviluppo interno e obblighi esterni. La presenza cinese in Angola e in altre parti dell’Africa è spesso vista sotto una luce neocoloniale, dato che la Cina beneficia economicamente e politicamente dall’attuale disposizione, mentre i benefici per le popolazioni locali sono meno evidenti. Tuttavia, una parte degli africani percepisce l’influenza cinese positivamente, vedendola come un’alternativa agli investimenti occidentali che spesso portano con sé condizioni più restrittive[3].
Nonostante la recessione globale e il calo dei prezzi del petrolio abbiano aggravato la situazione economica dell’Angola, il Paese cerca ora di diversificare la sua economia e ridurre la dipendenza dal petrolio. Questo processo include lo sviluppo di altri settori come quello minerario non legato ai diamanti e al petrolio. La leadership angolana deve anche considerare come equilibrare la propria dipendenza dagli investimenti cinesi con la necessità di sviluppare un modello di crescita più inclusivo e sostenibile. In sintesi, l’Angola si trova in una posizione complessa, dovendo bilanciare le opportunità e le sfide legate alla sua relazione con la Cina, mentre cerca di superare le proprie problematiche interne e di navigare in un contesto economico globale incerto[4]. Il 18 aprile 2024 anche Petrobras, la compagnia energetica statale del Brasile, ha firmato un memorandum d’intesa (MoU) con la China National Chemical Energy Company (CNCEC), che tocca vari settori, in particolare le energie rinnovabili e la transizione energetica. La collaborazione prevede anche la valutazione di potenziali accordi commerciali in ambiti quali l’esplorazione petrolifera, la produzione di fertilizzanti da gas naturale e altre fonti, nonché lo sviluppo della produzione. Inoltre, il MoU contempla una possibile collaborazione nei settori del raffinamento, della bioraffinazione e della petrolchimica, oltre che in ingegneria, costruzione e servizi, e in ricerca, sviluppo e innovazione[5].
Parallelamente agli sforzi internazionali, la Cina ha liberalizzato il suo mercato energetico interno, eliminando le restrizioni agli investimenti esteri in settori energetici, escluso il nucleare. Questo cambiamento è parte di una strategia più ampia per diversificare le fonti energetiche e incoraggiare gli investimenti privati e stranieri.
In sintesi, la Cina sta attuando una politica energetica complessa e stratificata che comprende non solo un’espansione significativa delle relazioni internazionali, ma anche una riforma interna del settore energetico, posizionandosi come una potenza centrale nella geopolitica dell’energia globale[6].Le tensioni geopolitiche hanno sempre avuto un impatto significativo sul commercio internazionale, influenzando i prezzi, le catene di approvvigionamento e le decisioni politiche. Secondo gli esperti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), questi conflitti potrebbero anche limitare la portata della ripresa commerciale globale post-crisi, con effetti particolarmente sentiti in settori chiave come l’energia e l’alimentazione, con possibili rialzi nei prezzi di prodotti alimentari ed energetici, due settori altamente sensibili a instabilità politica e conflitti. Il rapporto del WTO evidenzia come, nonostante l’impatto economico delle interruzioni del Canale di Suez, causate dai conflitti in Medio Oriente, sia stato relativamente contenuto, alcuni settori come l’automobilistico, i fertilizzanti e la vendita al dettaglio abbiano già subito ritardi e incrementi nei costi di trasporto. Sebbene fino ad ora le tensioni geopolitiche abbiano influenzato solo marginalmente i modelli commerciali globali, non hanno scatenato una tendenza sostenuta verso la de-globalizzazione. L’analisi sottolinea anche un rallentamento significativo nel commercio bilaterale tra Stati Uniti e Cina nel 2023, che ha visto una crescita del 30% inferiore rispetto al resto del mondo.
Questo ha portato alcuni governi a riconsiderare i benefici del libero scambio, adottando misure per rilocalizzare la produzione e orientare il commercio verso nazioni ritenute più affidabili. Inoltre, il rapporto mette in luce problemi di resilienza del commercio globale a causa di interruzioni nelle principali rotte marittime. Persino la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) ha espresso serie preoccupazioni riguardo le riduzioni nei transiti attraverso il Canale di Suez e il Canale di Panama sono particolarmente allarmanti, con cali rispettivamente del 42% e del 36% nei mesi recenti, una situazione aggravata da fattori climatici che riducono i livelli dell’acqua e da tensioni geopolitiche nelle regioni limitrofe. Nel Mar Rosso, attacchi coordinati hanno portato a una drastica diminuzione del 67% nei transiti settimanali di navi porta-container, con implicazioni dirette per il trasporto di container, navi cisterna e trasportatrici di gas. Questa situazione ha causato un picco straordinario nelle tariffe di trasporto spot dei container, che hanno visto incrementi fino al 256% verso l’Europa e al 162% verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Di conseguenza, i costi crescenti del trasporto stanno spingendo in alto i prezzi globali di cibo ed energia, minacciando la sicurezza alimentare e aumentando la vulnerabilità dei paesi in via di sviluppo, che dipendono pesantemente da questi canali per il loro approvvigionamento economico. L’UNCTAD sta sollecitando una risposta coordinata per mitigare questi impatti, richiamando l’attenzione sulla necessità di soluzioni sostenibili che affrontino sia le tensioni geopolitiche che i cambiamenti climatici, al fine di proteggere le economie più esposte a questi shock. Questa crisi evidenzia la critica necessità di cooperazione internazionale e di strategie rapide di adattamento nell’industria del trasporto marittimo per garantire la continuità e la resilienza delle reti commerciali globali[7].
Malgrado le pressioni esterne, causate dagli eventi sopracitati, il Settimo Incontro di Alto Livello del Dialogo Energetico tra OPEC e Cina si è svolto il 19 marzo 2024, presso il Segretariato dell’OPEC a Vienna, Austria. Durante l’evento è stata sottolineata l’importanza del Dialogo Energetico OPEC-Cina, rilevando come questa piattaforma di cooperazione continui a rafforzarsi, evidenziando poi che l’OPEC e i suoi paesi membri continueranno a fornire l’energia accessibile di cui la Cina ha bisogno per soddisfare la sua crescente domanda energetica. L’Amministratore Zhang Jianhua ha messo in evidenza che la Cina considera da sempre l’OPEC una forza e un partner importante nella governance energetica globale.
L’Ambasciatore Li Song ha affermato che la Cina, essendo la seconda economia mondiale e il maggiore importatore di petrolio, e l’OPEC, essendo l’organizzazione internazionale più importante nel campo del petrolio, traggono grande beneficio dal rafforzamento del dialogo e dello scambio, il che è conforme agli interessi strategici di entrambe le parti ed è di grande significato per mantenere congiuntamente la sicurezza energetica globale[8]. Nonostante le sfide poste dalle tensioni geopolitiche, non si è osservata una tendenza globale sostenuta verso la de-globalizzazione. Tuttavia, alcuni governi sono diventati più scettici sui benefici del libero scambio, optando per politiche che favoriscono la rilocalizzazione della produzione e il reindirizzamento del commercio verso nazioni considerate più affidabili o meno rischiose dal punto di vista politico. Queste misure possono includere incentivi per la produzione domestica o tariffe su prodotti importati da paesi con cui esistono tensioni politiche o economiche.
In un clima di interruzioni prolungate, tensioni geopolitiche e incertezza politica, i rischi per le prospettive commerciali internazionali sono orientati al ribasso. Le aziende e i governi devono navigare in questo ambiente complesso con grande cautela, bilanciando le necessità di sicurezza economica con quelle di integrazione e cooperazione commerciale.
In sintesi, mentre la globalizzazione del commercio ha portato numerosi benefici economici, le tensioni geopolitiche attuali presentano sfide significative che richiedono una gestione attenta e strategica per minimizzare l’impatto sulle economie nazionali e sulla stabilità globale. Questa evoluzione nelle strategie energetiche non solo rafforza la posizione geopolitica della Cina ma pone anche le basi per una rinnovata interazione economica con il continente europeo. La capacità di integrare efficacemente le risorse energetiche con le dinamiche commerciali esistenti diventa quindi fondamentale per il futuro dei rapporti sino-europei, aprendo nuove vie di cooperazione e scambio che superano il tradizionale ambito commerciale. Nel 2020, nonostante la pandemia di COVID-19, la Cina è diventata il principale partner commerciale dell’Unione Europea, con un aumento sia nelle esportazioni che nelle importazioni. Secondo Eurostat, il servizio statistico dell’UE, le importazioni dall’Asia hanno raggiunto i 383,5 miliardi di euro, con un aumento del 5,6% rispetto all’anno precedente, mentre le esportazioni sono cresciute del 2,2%, arrivando a 202,5 miliardi di euro.
Contrariamente, il commercio dell’UE con gli Stati Uniti, che fino all’inizio del 2020 era il principale partner commerciale, ha visto un netto calo. Nel dicembre 2020, tuttavia, il volume del commercio dell’UE con il resto del mondo ha registrato un incremento di 6,6 miliardi di euro rispetto allo stesso mese del 2019, segnando il primo aumento annuale da quando la pandemia ha colpito.
I dati ufficiali cinesi, pubblicati a metà gennaio, hanno mostrato che il commercio con l’UE è cresciuto del 5,3%, raggiungendo quasi 600 miliardi di euro nel 2020. Nel complesso, le importazioni e le esportazioni di beni della Cina sono aumentate dell’1,9% rispetto all’anno precedente, toccando un record di circa 5 trilioni di dollari.
Questo risultato dimostra “la forte resilienza e l’importanza della cooperazione economica e commerciale Cina-UE,” ha commentato Zhang Ming, capo della missione cinese presso l’UE, durante un webinar il mese scorso con il think tank europeo, Friends of Europe[9]. Secondo Daniel Gros, economista del Center for European Policy Studies intervistato dalla CNN, nonostante l’ascesa economica della Cina, i legami commerciali dell’Europa con gli Stati Uniti rimangono forti e significativi, soprattutto nel settore dei servizi, che non è stato considerato nel rapporto di Eurostat. Questi servizi transatlantici sono stimati valere circa 494 miliardi di euro annualmente.
[1]https://energiaoltre.it/come-e-perche-la-cina-sta-tentando-di-controllare-le-rotte-strategiche-del-petrolio-in-medio-oriente/
[2] https://www.startmag.it/energia/petrolio-tutti-i-legami-fra-cina-e-medio-oriente-report-cer/
[3] https://africa24.it/2022/09/14/il-fattore-angola-nelle-relazioni-della-cina-con-lafrica-2/
[4] https://africa24.it/2022/09/14/il-fattore-angola-nelle-relazioni-della-cina-con-lafrica-2/
[5] https://www.oedigital.com/news/513073-petrobras-and-china-s-cncec-to-collaborate-on-oil-and-gas-renewables
[6] https://www.startmag.it/energia/petrolio-tutti-i-legami-fra-cina-e-medio-oriente-report-cer/
[7] https://unric.org/it/unctad-lancia-lallarme-sulle-crescenti-perturbazioni-del-commercio-globale/
[8] https://www.opec.org/opec_web/en/press_room/7312.htm
[9] https://global.chinadaily.com.cn/a/202102/16/WS602b0086a31024ad0baa90a1.html
Giuseppe Incarnato
Chairman & CEO IGI INVESTIMENTI GROUP