Il Parlamento francese ha votato all’unanimità, in prima lettura, la proposta di legge del gruppo di maggioranza Horizons per penalizzare i colossi della moda rapida, inquinante e meno rispettosa delle condizioni di lavoro. Tra i provvedimenti al vaglio, un sovrapprezzo per le aziende sulla vendita dei capi meno green e l’obbligo sui siti di e-commerce di sensibilizzare all’impatto ambientale dei prodotti di cui, al contempo, sarà vietata la pubblicità


L’Assemblée nationale, il Parlamento francese, ha votato all’unanimità a favore di una legge per limitare e penalizzare il fast fashion che, con un’offerta in continuo rinnovamento di abiti a basso prezzo, induce a sovrapproduzione, sovraconsumo e spesso condizioni di lavoro deprecabili. La proposta di Horizons, uno dei tre gruppi di maggioranza, è stata adottata in prima lettura il 14 marzo, facendo arrivare ancora una volta dalla Francia un segnale all’avanguardia nel resto d’Europa, stavolta in termini di sostenibilità. Il testo dovrà quindi passare in Senato per l’approvazione finale.

Il ministro della Transizione ecologica Christophe Béchu (Oltralpe esiste un ministero dedicato unicamente alle questioni legate alla transizione) ha commentato con entusiasmo il passaggio in prima lettura della norma, che farà della “Francia il primo Paese al mondo a legiferare per limitare le derive dell’ultra-fast fashion”. Introduce così una distinzione ulteriore tra moda veloce e velocissima. Per comprendere a fondo la proposta di Horizons, facciamo un passo indietro ed esaminiamo il contesto. 

Clienti in coda, a Parigi, davanti al maxi store H&M aperto affianco alle storiche Galeries Lafayette (2018)
Clienti in coda, a Parigi, davanti al maxi store H&M aperto affianco alle storiche Galeries Lafayette (2018) 

Spiegano i media locali che il mercato dell’abbigliamento, in Francia, è saturato dalle insegne della fast fashion, il che ha avuto per prima conseguenza il calo drastico, fino al fallimento in alcuni casi, di alcune griffe nazionali di prêt-à-porter di grande tendenza ancora nei primi anni Duemila, come le parigine Naf Naf o Kookai. Ma prima ancora delle ragioni economiche, a muovere il ministero sono state quelle ambientali. “L’industria tessile è la più inquinante, rappresenta il 10 per cento delle emissioni di gas a effetto serra”, ha dichiarato Anne-Cécile Violland, deputata di Horizons.

Cosa sancisce la legge

Si definisce anzitutto quali imprese finiscano sotto il bollino di fast fashion, su criteri fondati su volume e velocità di produzione e rinnovo delle collezioni. Il testo attuale rinvia a dei decreti per fissare delle soglie numeriche. Nel mirino dei legislatori ci sono marche come il colosso cinese Shein, che con i suoi 7200 nuovi modelli di vestiti al giorno in media, si apprende, offre “un numero di prodotti 900 volte superiore a quello di un rivenditore tradizionale francese“. Per effetto della legge in discussione, quindi, le aziende della moda velocissima avrebbero l’obbligo di sensibilizzare i consumatori sull’impatto ambientale dei loro capi e accessori, incoraggiando a pratiche di riutilizzo degli stessi e riportando tutte le indicazioni sui siti di e-commerce.

Un pop-up store di Shein a New York
Un pop-up store di Shein a New York 

La misura più discussa del testo francese contro il fast fashion è stata subito etichettata come una tassa contro i brand inquinanti. Si tratta in realtà di un malus piuttosto penalizzante, un sovrapprezzo per i venditori che entro il 2030 potrebbe raggiungere fino a 10 euro per ciascun capo al di fuori degli standard ambientali. Per attuare simili provvedimenti, occorrerà preventivamente stabilire un nuovo sistema di classificazione dei prodotti, sugli standard di sostenibilità. In pratica, per le aziende bisogna immaginare una penalità fino al 50 per cento (iva esclusa) sul prezzo di ogni capo venduto. Riprendendo un esempio di Libération, se un maglione costa 8 euro, l’azienda ne pagherà 4, fino ad una penalità di massimo 10 euro. 

“Non è una tassa”, precisa però Anne-Cécile Violland, in quanto, in un sistema di bonus-malus, i contributi saranno ridistribuiti a favore di aziende virtuose, improntate alla circolarità e alle pratiche green, e possibilmente locali. Gli introiti saranno inoltre destinati alla raccolta, lo smistamento e il trattamento dei rifiuti tessili ed infine ad aumentare il bonus riparazione già in essere, ovvero il rimborso che incentiva ad optare per il rammendo del vecchio piuttosto che l’acquisto del nuovo.

Altra misura fondamentale della legge di Horizons riguarda la pubblicità, che sarebbe vietata “per i prodotti e le imprese” che rientrano nella categoria di fast fashion. Un marketing aggressivo è solitamente connaturato alle pratiche di questa moda così in rapido cambiamento. Spot che viaggiano ad ancor più alta velocità sulle reti social, tramite seguitissimi influencer. Per effetto del provvedimento, almeno quelli francesi non potrebbero più accettare collaborazioni commerciali per sponsorizzarne le collezioni di abbigliamento. 

Le reazioni

Su alcuni punti ci sarà ancora da discutere. Ad esempio, ecologisti, radicali di Insoumis e socialisti hanno richiesto, al momento invano, di imporre nel testo dei criteri di rispetto dei diritti sociali nell’industria tessile. Il gruppo di ong raccolte sotto la sigla Stop Fast Fashion ha chiesto ai parlamentari francesi di definire delle soglie che permettano di non penalizzare solo Shein o Temu (portale cinese di e-commerce) ma anche altri colossi come Zara, Primark, H&M. Un portavoce di Shein ha commentato la legge come una penalità “sproporzionata per i consumatori più attenti ai costi” mentre stima che il canone per definire il fast fashion dovrebbe basarsi su altri riferimenti, come l’ammontare dell’invenduto. Il direttore generale dell’Alliance du Commerce francese, Yohann Petiot, ha espresso timori sul fatto che il testo possa “non centrare l’obiettivo” e avere un impatto sulle aziende nazionali. Sebbene ancora da perfezionare, la portata del testo che sanziona il fast fashion resta però indubbia. 

Riproduzione “La Repubblica”

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