Chi di noi quando va a fare un esame si chiede se stanno utilizzando un apparecchio nuovo o obsoleto? Con le liste d’attesa che ci sono, buona grazia se l’esame te lo fanno in tempi decenti. Eppure nella diagnosi delle malattie più gravi il livello di precisione del macchinario può fare la differenza. Mammografi, risonanze magnetiche, Tac, ecc. vengono utilizzati per svolgere 65,5 milioni di prestazioni l’anno, di cui il 58% negli ospedali pubblici e il 42% nelle strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. La sostituzione di queste «grandi apparecchiature», come sono chiamate in gergo tecnico, può rendersi necessaria per l’usura dovuta all’età, la modalità di utilizzo, il numero di guasti, i costi di gestione, lo sviluppo di tecnologie più all’avanguardia. Proprio come per le automobili o qualsiasi altro apparecchio meccanico o elettrico. Occorre dunque valutare quando le attrezzature in là con gli anni espongono il paziente a diagnosi meno precise, o a più radiazioni del dovuto. Per l’Associazione italiana degli ingegneri clinici, pur non esistendo un riferimento univoco, il limite dei dieci anni di vita di un macchinario rappresenta uno spartiacque. Ecco perché il ministero della Salute, insieme agli ingegneri clinici, ne monitora con regolarità l’obsolescenza. Vediamo i dati principali, ancora inediti, elaborati da Agenas al 31 dicembre 2023. I numeri dimostrano che i privati accreditati, contrariamente alla percezione comune, di norma non hanno percentuali inferiori di macchinari oltre i limiti di età rispetto al pubblico: in entrambi i casi più di uno su 3 è obsoleto.
I MAMMOGRAFI
I programmi di screening mediante esame mammografico, avviati oltre trent’anni fa, rappresentano la più efficace forma di prevenzione secondaria, con una riduzione del 35% del rischio di morte. Le visite regolari, quindi, devono essere considerate dalle donne un dovere verso sé stesse. L’utilizzo di apparecchiature non obsolete è, invece, un obbligo delle strutture sanitarie. Oggi in Italia sono eseguite 1,6 milioni di mammografie all’anno. Un mammografo con meno di dieci anni permette una visione più accurata e approfondita delle patologie tumorali: la mammella è analizzata da diverse angolazioni grazie a un’acquisizione a strati in 3D, il che consente di esaminare parti di tessuto che altrimenti rischiano di rimanere nascoste. Il 29% dei mammografi, però, ha più di dieci anni. Guardiamo dentro ai grandi ospedali romani. Le aziende ospedaliere pubbliche Umberto I, San Camillo Forlanini, Sant’Andrea e Tor Vergata sono tutte dotate di due mammografi, di cui solo uno, a Tor Vergata, con più di dieci anni. Il San Giovanni invece ne ha 3, di cui uno vecchio. Il Gemelli, che è uno degli ospedali privati convenzionati più grande d’Europa, ne ha 4, di cui uno obsoleto. Gli Istituti fisioterapici ospitalieri (Ifo), infine, ne hanno 3, di cui uno troppo vecchio. Complessivamente nel Lazio ce ne sono 105 nelle strutture pubbliche e 161 nel privato accreditato di cui il 35%, però, è fuori età, contro il 14% del pubblico. In Lombardia, vediamo la situazione nei centri di riferimento per la cura del tumore al seno di Milano, dove ogni anno vanno a curarsi pazienti da tutta Italia. All’Istituto nazionale dei tumori i mammografi sono 2, di cui uno con più di dieci anni, mentre il Policlinico è dotato di 3 mammografi, tutti di ultima generazione. Passando ai privati accreditati, invece, l’Istituto europeo di oncologia (Ieo) può contare su 5 macchinari, di cui uno troppo vecchio, e l’Humanitas di Rozzano ne ha 7, ma 4 obsoleti. In Veneto prendiamo come riferimento due ospedali pubblici. Quello di Treviso ha 5 mammografi, mentre l’azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona ne ha tre: entrambi contano un mammografo troppo in là con gli anni. In Campania nel privato accreditato il 41% ha superato i dieci anni, contro il 13% del pubblico. In Molise su 14 mammografi solo uno è recente.
RISONANZE MAGNETICHE
Allo stesso modo, una risonanza magnetica eseguita con un macchinario «ad alto campo» fornisce una qualità di immagini più dettagliata e una durata dell’esame inferiore. Ogni anno si svolgono oltre 4,6 milioni di risonanze: il 44% dei macchinari supera i dieci anni. In particolare, le Regioni che avrebbero il dovere assoluto di acquistarne di nuovi sono il Molise e la Valle d’Aosta, perché risulta che non ne possiedano nemmeno uno abbastanza recente. La percentuale di macchinari obsoleti è preoccupante anche in Sicilia (73%), a Trento (67%), in Toscana (66%), in Liguria (64%) e in Sardegna (62%).
TOMOGRAFIE COMPIUTERIZZATE
Veniamo alle Tac: la differenza di radiazioni emesse da una con più di dieci anni di vita e una di ultima generazione arriva fino all’80%, e la diagnosi è anche più approfondita per la capacità diagnostica di visualizzare meglio il cuore tra un battito e l’altro, come pulsa il cervello, e di individuare con estremo dettaglio le lesioni oncologiche. Oggi i 5 milioni di esami annui sono effettuati con strumenti obsoleti nel 36% dei casi. Negli ospedali pubblici del Molise, 7 macchinari su 7 sono vecchi, nel privato 5 su 9. In Lazio vince il pubblico: solo il 21% delle Tac è obsoleto, contro il 38% del privato accreditato. In Liguria, la percentuale di macchine vecchie è del 24% che sale al 47% nel privato accreditato.
RADIOTERAPIA
Le sedute di radioterapia sono 6 milioni l’anno. I nuovi acceleratori lineari irradiano la parte malata in modo più preciso, preservando maggiormente i tessuti sani. Ebbene, il 46% dei macchinari è fuori limite d’età. In Lombardia, 30 acceleratori su 72 sono nel privato accreditato, dove però la percentuale di macchine vecchie raggiunge il 73%, contro il 40% del pubblico. L’Istituto nazionale dei tumori ne conta 5, di cui 3 con più di dieci anni. Tra i privati, l’Humanitas ne utilizza 5 recenti e 3 obsoleti, mentre l’Istituto europeo di oncologia 4, di cui uno sopra i limiti di età. In Lazio, gli ospedali Gemelli, Tor Vergata, Sant’Andrea, Umberto I li hanno tutti sotto i dieci anni; San Camillo e San Giovanni ne hanno a disposizione 2 buoni e uno vecchio; gli Istituti fisioterapici ospitalieri 3, di cui 2 vecchi. In Emilia-Romagna, tra le aziende ospedaliere universitarie la migliore è il Policlinico di Sant’Orsola a Bologna, con un solo acceleratore obsoleto su 4. Quella di Parma ne conta uno vecchio su 3, l’ospedale di Modena 2 su 3, e quello di Ferrara uno su 2. In Toscana, il Careggi di Firenze ne ha 5, di cui uno vecchio. In Sicilia e Sardegna, l’80% degli acceleratori lineari è obsoleto.
Abbiamo raccolto i dati sopra riportati per sollecitare i cittadini a informarsi sempre sulla qualità dei macchinari utilizzati nella prevenzione o cura delle loro malattie. Si sbaglia chi pensa che facendo un esame a pagamento vengano utilizzati strumenti di ultima generazione: la diagnostica viene fatta con l’apparecchiatura disponibile in quel momento. Va detto che un miglioramento è in corso: nelle strutture pubbliche il rinnovo delle apparecchiature è iniziato grazie ai fondi del Pnrr (1,2 miliardi), e nel primo quadrimestre del 2024 c’è stato un ricambio di circa 300 macchinari (inclusi nei numeri sopra riportati). Nel privato accreditato, che mira al profitto e deve metterci soldi suoi, le grandi apparecchiature sostituite nello stesso arco di tempo sono state 164.
Riproduzione Corriere della Sera articolo di Milena Gabanelli e Simona Ravizza