Cresce il livello di maturità complessiva delle grandi aziende nella capacità di valorizzazione dei dati; tuttavia, un terzo delle grandi imprese italiane (32%) è ancora immaturo o ai primi passi

Dal nuovo report degli Osservatorio Big Data & Business Analytics emerge che il mercato italiano Big data nel 2023 ha registrato una crescita a doppia cifra.

Ecco i dati nei dettagli della ricerca presentata al convegno “Data Culture & Generative AI: verso una nuova data experience?”. Un report da cui si evince che “serve un ulteriore salto per cogliere le opportunità offerte dalle nuove frontiere tecnologiche, tra tutte le Generative AI. Le aziende più mature stanno già sperimentando nell’ambito gestione e analisi dei dati con la Generative AI, alla ricerca di nuove strade per estrarre insight di valore da dati non strutturati o per migliorare il processo di gestione e analisi dei dati”, afferma Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics.

Il 2023 passerà alla storia come l’anno della Generative AI nell’analisi dei dati e dell’applicabilità del Data Governance Act. “Il grande interesse suscitato nel 2023 per l’Intelligenza Artificiale Generativa”, commenta Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics, “ha contribuito ad accendere i riflettori sull’importanza di avere a disposizione dati di buona qualità, fondamenta per rendere affidabili, e dunque utilizzabili, i risultati degli algoritmi”.

Le aziende italiane investono in infrastrutture, software e servizi per la gestione e data analytics. La spesa in questo campo mette a segno una crescita del +18%.

Il mercato nazionale Big data vale 2,85 miliardi di euro. Le grandi imprese detengono l’83% del totale, mentre per il 17% è da attribuire a microimprese e PMI. Sono i dati fotografati dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano.

Secondo il Data Strategy Index, la quota di aziende di livello avanzato passa dal 15% nel 2022 al 20% nel 2023, attestando il livello di maturità complessiva delle grandi aziende nella capacità di valorizzazione dei dati.

In lieve miglioramento è il valore mediano dell’indice. Tuttavia un terzo delle grandi imprese italiane (32%) è ancora immaturo o ai primi passi. “Mentre l’innovazione avanza, la situazione di incertezza economica e geopolitica rischia di far ritardare gli investimenti, non tecnologici, ma soprattutto organizzativi e culturali”, continua Vercellis, “per proseguire nel percorso di valorizzazione dei dati. L’obiettivo delle imprese deve essere quello di costruire una buona data experience, intesa come l’esperienza complessiva di un utente in ogni fase di relazione con i dati, capace di fare la differenza nell’impatto di soluzioni di Analytics”.

Il Cloud traina la crescita (27% del mercato), soprattutto nella manifattura e nel settore telco e media, dove la Cloud Transformation vede il Public Cloud in crescita del 27% in valore.

Al manifatturiero corrisponde il fattore di crescita più alto negli ultimi 12 mesi (+25%). La dinamica di crescita di GDO/Retail, Pubblica Amministrazione (PA) e sanità è invece in linea con la media di mercato.

Il comparto bancario spicca al primo posto per budget in ambito gestione e analisi dati in rapporto alla spesa ICT. Banche, Telco e Media sono infatti i big spender rispetto alla spesa ICT.

Le figure professionali per valorizzare i dati nelle organizzazioni si stanno affermando e diffondendo. Infatti il 77%
delle grandi aziende italiane ha già assunto un Data Analyst, il 49% un Data Scientist e il 59% un Data Engineer.

Però rimane ancora un’emergenza lo skill shortage anche nel 2023. Il 77% ha incontrato difficoltà a reperire le competenze gettonate. In 4 Pmi su 10 manca la figura richiesta, neanche parzialmente, per analizzare i dati. Il 57% ha in uso un software di data Visualization & Reporting (+8% sul 2022), ma l’utilizzo risulta sporadico e gli investimenti modesti. Il foglio elettronico è tuttora lo strumento più diffuso.

“Nel 2023 cresce la spesa per gli Analytics e il livello di maturità delle imprese italiane nella gestione dei dati”, mette in evidenza Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics: “Tuttavia, il forte interesse non corrisponde sempre a un cambio di rotta decisivo: sono ancora una minoranza le organizzazioni con una Data Strategy di livello corporate”.

Anche quest’anno l’Osservatorio ha realizzato il Data Strategy Index. L’indice valuta la maturità delle aziende, misurando tre ambiti:

  • Data Management & Architecture (mezzi, competenze e processi per la gestione tecnologica, integrazione dei dati e governo del patrimonio informativo);
  • Business Intelligence e Descriptive Analytics (strumenti e competenze di base per una Business Intelligence pervasiva);
  • Data Science (analisi predittive e di ottimizzazione partendo dall’analisi dei dati).

Oggi le grandi aziende avanzate rappresentano un quinto del totale (20%). Un anno fa si fermavano al 15%.

Alle avanzate, seguono le imprese focalizzate (12%). Hanno raggiunto un buon grado di maturità sulla Data Science in alcune funzioni aziendali, ma hanno ancora scarsa attenzione nella valorizzazione complessiva del patrimonio informativo.

Un terzo delle grandi imprese, soprattutto le più piccole, è invece immaturo o si affaccia ai primi passi (32%). La loro priorità consiste nel superare l’uso di fogli elettronici, introducendo in maniera pervasiva gli strumenti di Data Visualization & Reporting avanzati.

Il 13% delle imprese sono inoltre intraprendenti. Focalizzate sulla Data Science, hanno avviato la sperimentazione nell’ultimo anno.

Il 23% sono infine prudenti. Una volta data priorità a una buona qualità dei dati, puntano sulla presenza di figure riservate alla Data Governance.

Il 20% delle grandi imprese hanno concentrato in un ruolo executive la responsabilità di gestione e valorizzazione dei dati in logica trasversale nell’azienda. Studiano anche nuove forme di collaborazione
extra-aziendali: per esempio, Chief Data Officer o Chief Data & Analytics Officer.

Le grandi aziende hanno adottato la Business Intelligence in maniera consolidata. Il 93% sfrutta almeno uno strumento di Data Visualization & Reporting. Il 63% mette a disposizione corsi di formazione ai propri dipendenti non specialisti.

Ma solo un’azienda su due compie un monitoraggio effettivo sull’uso di questi tool da parte dei propri dipendenti. E anche tra queste, l’impiego delle soluzioni non risulta pervasivo.

Il 73% delle organizzazioni ha iniziato almeno una fase di test di Data Science: +8% rispetto al 2022 in ambito Advanced Analytics.

Tra queste, una su due nega un impatto diretto della Data Science a sostegno delle decisioni strategiche. Nel 24% delle aziende la gestione dello sviluppo delle iniziative di Advanced Analytics viene attribuito a figure interne. Nei restanti casi, invece, si predilige un approccio ibrido, in grado di coniugare competenze interne con il supporto di consulenti.

Analytics nelle PMI

Le PMI migliorano leggermente nella capacità di analisi dati. Il 74% delle PMI italiane esegue almeno analisi dati descrittive. Tra queste attività, il 68% sta svolgendo sperimentazioni anche nelle analisi predittive.

Il 14% di queste si limita a migliorare la pianificazione finanziaria. Il restante 86% svolge attività di analisi anche in altri ambiti, come marketing o produzione.

Le licenze software di Data Visualization & Reporting, strumenti ad oggi presenti nel 57% delle imprese (+8% rispetto al 2022), rappresentano una delle principali voci di spesa per le PMI. Spesso però scarseggiano le figure professionali che utilizzano questi strumenti, e il foglio di calcolo continua a rimanere saldamente al comando.

Eppure il Code Interpreter, rilasciato dopo il debutto di ChatGPT, è uno strumento in auge che potrebbe perfino sostituire, almeno in parte, il lavoro del Data Scientist. Gli strumenti, resi possibili fall’AI Generativa, sono sempre più performanti.

Tendenze future del mercato Big data: l’AI Generativa oltre il 2023

La Generative AI supporterà sempre di più il lavoro quotidiano di Data Scientist e Data Engineer, grazie ad AI Code Assistant, per lo sviluppo e la manutenzione degli algoritmi, e all’integrazione di dati sintetici nei modelli analitici.

Si stanno inoltre battendo nuove strade per estrarre insights da mail, survey e documenti interni, oltre a gestire meglio la conoscenza aziendale.

Le realtà dedicate alla Data Visualization stanno studiando le applicazione di Natural Language Analytics, l’uso del linguaggio naturale per cercare dati e insights.

In questo contesto, i fari sono accesi sui Large Language Models, della cui introduzione beneficerà il data user privo d’esperienza.

Per executive e manager in ambito dati una buona cultura dei dati, infine, è una priorità, sia sul fronte domanda che offerta. Oltre ai corsi di formazione, si svilupperanno le Data Community, luoghi di scambio di best practice.

Nuovi paradigmi architetturali e approcci metodologici si stanno facendo largo, come dimostra l’attenzione riservata al Data Mesh e un approccio product-oriented nella creazione di data set, dashboard, algoritmi di Advanced Analytics.

Il futuro appartiene al “data product owner, che si è evoluto per selezione naturale dagli insuccessi, ha un piede dentro il business, uno dentro il team e le mani in pasta ai dati”, secondo Stefano Gatti, Head of Data & Analytics di Nexi: “per diventarlo occorrono passione per i dati, la conoscenza del contesto, buone capacità analitiche e relazionali. Alle aziende serve questa figura e sono pronta ad integrarla, per la sua capacità di far evolvere le imprese”.

La necessità di un mercato unico europeo dei dati

La Ue ha pubblicato nel 2020 la strategia europea per i dati, basata sui valori e sulle norme dell’UE.

Nel febbraio 2022, la Commissione ha poi pubblicato un documento di lavoro dei servizi, una panoramica sullo sviluppo dei data spaces, gli spazi comuni europei di dati su richiesta del Consiglio europeo.

Nel luglio 2022 sono seguiti l’Atto sulla governance dei dati e nel dicembre successivo la direttiva sull’apertura dei dati). A inizio 2024 è prevista l’entrata in vigore la Legge sui dati.

“Questo è il quadro legislativo intersettoriale, mentre gli strumenti giuridici sono la direttiva sull’apertura dei dati, la legge sulla governance dei dati (Data Governance Act) e la Legge sui dati (Data act)”, ha spiegato Federico Milani, DG Connect, unità Politica dei dati e innovazione Commissione europea.

L’Open Data Directive prevede più dati pubblici per l’innovazione, set di dati ad alto valore per le PMI.

La legge sulla governance dei dati offre maggiore fiducia nella condivisione volontaria dei dati, rafforzando i meccanismi per promuovere la disponibilità dei dati.

La legge sui dati rimuove gli ostacoli che impediscono la creazione di
un’economia solida ed equa basata sui dati industriali.

“Il Data Governance Act punta a sfruttare il potenziale dei dati per l’economia e la società”, promuovendo il riutilizzo dei dati sensibili detenuti da enti pubblici, delineando un quadro per i nuovi intermediari di dati nel mercato unico. Inoltre favorisce l’altruismo dei dati aziendali e individuali per finalità di interesse generale. Infine promuove il coordinamento e l’interoperabilità, grazie al Comitato europeo per l’innovazione in materia di dati.

“Il riutilizzo di categorie di dati protetti detenuti da enti pubblici è complementare alla direttiva sull’apertura dei dati (Open Data Directive). Basandosi sui regimi nazionali di accesso, qualora il riutilizzo avvenga, dovrebbe avvenire in modo armonizzato ed e soggetto a condizioni. Lasciando spazio agli Stati membri, mira a creare un punto di contatto (sportello unico) un’ interfaccia per i riutilizzatori di dati che cercano di riutilizzare dati pubblici protetti”, aggiunge Milani.

Principi e requisiti per i fornitori di servizi di intermediazione dei dati (B2B e C2B)

Essi “devono sostenere e promuovere la condivisione volontaria dei dati, preservando il controllo dei dati da parte delle imprese e dei singoli individui. Non possono monetizzare sui dati che le aziende condividono attraverso di loro. Essi devono rispettare requisiti rigorosi per garantire la loro neutralità ed evitare conflitti di interesse. I fornitori di servizi di intermediazione dei dati fungono da terzi neutrali che collegano persone e imprese da un lato con gli utenti dei dati, dall’altro”, mette in evidenza Milani.

Le entità per l’altruismo dei dati possono registrarsi come “organizzazioni per l’altruismo dei dati riconosciute nell’Unione” solo se sono in grade di soddisfare alcuni requisiti.

“Le persone fisiche e le imprese che hanno interesse in condividere i loro dati, lo fanno per il bene comune, senza una ricompensa diretta”, sottolinea Milani: “Potranno utilizzare un modulo europeo di consenso all’altruismo dei dati per facilitare la raccolta dei dati. Ciascuno Stato Membro tiene e aggiorna regolarmente un registro pubblico nazionale delle organizzazioni per l’altruismo dei dati riconosciute”.

Per realizzare le condizioni per condividere dati in modo sicuro, occorre “rafforzare la fiducia nella condivisione dei dati, favorire l’accesso di dati personali e non personali”, oltre all’applicazione della GDPR per i dati personali, la protezione dei dati non personali sensibili e di tutti i dati non personali”, secondo Milani.

Ma serve anche il “riutilizzo delle informazioni del settore pubblico, ma attraverso nuovi meccanismi che tutelino la riservatezza delle informazioni (dati personali, dati commerciali riservati)”. E bisogna “facilitare la condivisione volontaria dei dati da parte di individui e imprese, a fini altruistici e di altro tipo”, conclude Federico Milani.

Fonte: https://www.bigdata4innovation.it/ di Mirella Castigli, 08.11.2023

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