La Russia cerca di diversificare i partner economici, in un decoupling forzato dall’Ovest. E per farlo investe in infrastrutture nel Mediterraneo e in Iran.
spedizioni diplomatiche dei vertici del Cremlino e frequenti avvistamenti di navi militari, dall’inizio della guerra in Ucraina si è parlato molto del ruolo della Russia nel cosiddetto Mediterraneo allargato. Ma per capire il ruolo della Russia in quest’area, occorre comprendere il ruolo di quest’area per la proiezione estera della Russia. Un ruolo politico, certamente: Mosca ha bisogno di cementare l’amicizia con i Paesi del Mediterraneo per far fronte a una situazione di eccezionale marginalizzazione internazionale.
Un’importanza militare: il Mediterraneo è uno snodo strategico e un hub logistico fondamentale, che si collega anche alle operazioni nel Mar Nero e nel Sahel. Ma la regione mediterranea, per la Russia, ha anche (o soprattutto?) una crescente importanza economica. L’economia russa si sta generalmente contraendo sotto il peso delle sanzioni occidentali; il prodotto interno lordo (Pil) è diminuito del 2,1% nel 2022, e si stima che diminuirà del 2,5% nel 2023; le misure restrittive hanno limitato notevolmente importazioni ed esportazioni e il congelamento di beni per il valore di 300 miliardi di euro pesa enormemente sulla crescita e sul dinamismo economico del Paese.
Eppure, gli investimenti nel Mediterraneo allargato non solo non si fermano ma, in alcuni settori strategici, sono in aumento. In continuità con quella che era la tradizione sovietica dei partenariati economici con i Paesi cosiddetti non-allineati (o dell’allora definito “Terzo mondo”), anche negli ultimi anni i principali ambiti di cooperazione di Mosca con i Paesi del Mediterraneo allargato sono stati il commercio di armi, l’energia nucleare e le infrastrutture (in particolare quelle energetiche e dei trasporti).
Ad oggi, il settore più rilevante rimane quello dell’industria della difesa, seppure il trend che si osserva sia quello di una diminuzione graduale delle esportazioni di armi russe verso questi Paesi. Per un lungo periodo, tra il 2009 e il 2018, la Russia è stata il secondo fornitore della regione, responsabile del 18% delle importazioni totali (il primo fornitore erano, e sono, gli Stati Uniti, che nel periodo in questione hanno coperto il 44% delle importazioni). I dati elaborati dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) mostrano che, tra il 2018 e il 2022, le esportazioni russe (a livello globale) sono passate da circa 7 miliardi nel 2018, a circa 2 miliardi nel 2022. Chiaramente, questa tendenza è oggi accelerata dall’invasione dell’Ucraina: il prolungarsi del conflitto sta infatti obbligando Mosca a destinare gran parte della propria produzione di armi a un utilizzo domestico, riducendo quindi la disponibilità per l’export.
Eppure, nonostante le risorse limitate, la Russia ricopre ancora oggi un ruolo di primo piano nella maggior parte dei conflitti del Mediterraneo, paradossalmente ampliando la sua presenza militare nell’area. Questo è stato possibile soprattutto grazie all’utilizzo strumentale di Compagnie Militari Private (PMCs) – la più attiva delle quali è il più che noto gruppo Wagner – che fanno affari con i governi della regione e sono impegnate in numerose attività lucrative, dall’estrazione e contrabbando di materie prime (oro, diamanti) al controllo di infrastrutture critiche (pozzi, autostrade). La Russia sta poi ampliando la cooperazione con i Paesi del Mediterraneo allargato in ambito di energia nucleare. Fra i Paesi che maggiormente si stanno affidando a Mosca per sviluppare energia nucleare vi sono Egitto e Turchia.
In Egitto, i russi stanno costruendo quella che sarà la prima centrale nucleare del Paese, nella località costiera di El Dabaa. Si tratta di un progetto che gli egiziani inseguono da tempo: la decisione di avviare la costruzione risale al 2007, ma questa si era poi arrestata per l’instabilità politica post-2011.
L’accordo ufficiale è stato firmato nel 2015 dai governi russo ed egiziano e i primi lavori di preparazione sono iniziati nel 2017, sotto l’egida di Rosatom e del Ministero egiziano per l’Elettricità e le Energie Rinnovabili. La centrale – che dovrebbe raggiungere piena capacità operativa nel 2026 – ospiterà quattro reattori VVER-1200 ad acqua pressurizzata (dal russo “Vodo-Vodjanoj Energetičeskij Reaktor”, ossia “Reattore Energetico ad Acqua”), ognuno della capacità di 1,2GW, che quindi porteranno la capacità complessiva del progetto a 4,8GW. Si stima che il progetto costerà 30 miliardi di dollari: i russi forniranno un prestito di 25 miliardi (che l’Egitto restituirà a partire dal 2029 con un tasso di interesse annuo del 3%), mentre i restanti 5 miliardi verranno coperti da investimenti privati egiziani.