TRENTO. Il ghiaccio sulle superfici causa spesso problemi, soprattutto nell’ambito dell’industria aeronautica e dei sistemi termodinamici: basti pensare agli aerei, alle turbine eoliche, alle pompe di calore e ai sistemi di refrigerazione. Cambiare, quindi, le proprietà superficiali in questi settori rappresenta un grande passo avanti importante in termini di prestazioni energetiche, costi e sicurezza.
E proprio a Trento, grazie a uno studio realizzato dall’Università e dalla Fondazione Bruno Kessler, sono nate delle superfici che rallentano la formazione del ghiaccio, facendo letteralmente saltare le gocce d’acqua prima che congelino.
La scoperta è il risultato di uno studio, pubblicato sulla rivista americana Acs Nano, iniziato con un dottorato congiunto e finanziato da entrambi gli enti e il lavoro del team di ricercatori – formato dal phd Nicolò Giuseppe Di Novo, Nicola Pugno del Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica e Alvise Bagolini dell’unità Micro Systems Technology del Center for Sensors and Devices di Fbk – potrebbe contribuire ad ovviare alle soluzioni attualmente in uso per risolvere il problema, tutte complesse e che richiedono energia e l’impiego di composti inquinanti.
È noto infatti che la presenza di irregolarità, anche se impercettibili, e la chimica intrinseca del materiale, influiscono su come i fluidi interagiscono con la superficie: la sfida era quindi controllare le microgocce di acqua che si formano al di sotto dello zero, prima di trasformarsi in ghiaccio.
I ricercatori hanno quindi progettato e fabbricato su silicio dei micro coni troncati, coperti da un manto nanostrutturato e idrofobo e il principio è il seguente: le microgocce di rugiada crescono per condensazione tra i coni e, separate le une dalle altre, assumono una forma allungata e si auto-espellono prima di ghiacciare.
Il team ha poi studiato il salto della goccia e dimostrato che l’auto espulsione rallenta il processo di congelamento: i numerosi salti creano infatti una sorta di pista “taglia ghiaccio” che frena l’avanzamento della brina.
Il processo è stato in seguito osservato con una videocamera ad alta velocità, accoppiata con un microscopio: il risultato ottenuto è che strutture divergenti con bagnabilità uniforme facilitano l’eliminazione dei liquidi, e queste possono quindi essere impiegate per progettare e realizzare sistemi antighiaccio.
“Abbiamo strutturato superfici di silicio con tecniche utilizzate per produrre chip o sensori e la sfida – dichiara il ricercatore del Dicam Nicolò Di Novo – è quella di dotare di queste proprietà altri materiali come l’alluminio, il titanio, l’acciaio e i polimeri”.
Tornando alle possibili applicazioni dello studio – finanziato dalla Commissione europea , dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Ministero dell’università e della ricerca – sono intuibili quelle nel settore degli aeromobili: su tutti i velivoli che raggiungono una certa altitudine, infatti, è inevitabile la formazione di ghiaccio.
“Queste superfici così repellenti all’acqua vanno ben oltre le classiche superfici superidrofobiche ispirate all’effetto loto, ossia la capacità di un materiale di mantenersi pulito autonomamente osservata sulle foglie di loto – specifica il professore di scienza delle costruzioni Nicola Pugno – e richiedono la formulazione di nuove teorie per il loro progetto e una micro-fabbricazione allo stato dell’arte. Mostrano infine un potenziale interesse industriale high-tech, secondo la terza missione del nostro laboratorio”.
Altri campi di utilizzo potranno riguardare poi la progettazione di pompe di calore (come quelle delle auto elettriche), di refrigeratori industriali e di linee di trasmissione dell’alta tensione in zone di montagna: in sintesi, di tutti gli strumenti in cui lo sbrinamento veloce garantisce la funzionalità del sistema.