La Ue è indietro nello sviluppo dei grandi modelli, ma se la può giocare nella produzione. Servono competenze e regole nuove per un “cervello digitale”
Alla frontiera dell’Intelligenza artificiale, la nuova rivoluzione tecnologica, si sfidano Stati Uniti e Cina, schierando colossi digitali e investimenti miliardari. L’innovazione però non è solo frontiera, ma anche applicazione. Ed è lì, secondo esperti e manager, che l’Europa e l’Italia hanno una concreta possibilità di essere della partita, come da obiettivo del piano InvestAI appena presentato da Ursula von der Leyen.
La transizione digitale in italia

Se sui grandi modelli di IA l’Europa ha un ritardo difficile da colmare, «sulla parte di IA industriale abbiamo molto da dire, in particolare nell’asse tra Germania e Italia, viste le competenze di filiera che i big del digitale non hanno», dice Floriano Masoero, amministratore delegato in Italia di Siemens, tra le multinazionali europee scese in campo a sostegno del piano della Commissione. Adattare le soluzioni di IA e calarle all’interno dell’azienda per rendere i processi più intelligenti e competitivi è quello che le aziende cominciano a fare. Ma la sfida che richiede investimenti, talenti e trasformazioni organizzative. Con il rischio, soprattutto per l’Italia, che il corpaccione di piccole imprese meno attrezzate resti indietro.
Un cervello digitale
Basta vedere un recente sondaggio di Anitec – Assinform, associazione Ict di Confindustria: se un terzo delle imprese italiane sopra i 250 dipendenti ha già adottato soluzioni di IA, il dato scende al 13,7% tra le Pmi e al 7,7% tra le micro. «L’interesse è grande, ci sono tanti progetti pilota», spiega Teodoro Lio, Ceo in Italia della società di consulenza Accenture. «Il tema oggi è portare quei progetti a scala e sistematizzarli. Per farlo serve dotarsi di un’infrastruttura che permetta di estrarre i dati e adattare i modelli: il vero salto non si fa affidando a ChatGPT singole operazioni, ma sviluppando quello che chiamiamo “digital cognitive brain” (cervello digitale, ndr), un nuovo paradigma tecnologico alimentato da modelli di IA addestrati sul patrimonio di dati specifico di ogni impresa in grado di operare in modo trasparente e coordinato».
Il mercato dell’Ia in Italia

Masoero racconta alcune delle applicazioni dell’IA che Siemens ha iniziato ad integrare nei suoi sistemi di controllo industriali: la partnership con Microsoft per l’Industrial Copilot a servizio della progettazione, che può ridurre i tempi fino al 30%; i gemelli digitali del metaverso industriale, che applicati a manifattura, infrastrutture o sanità possono simulare e ottimizzare processi complessi, in collaborazione con Nvidia; l’utilizzo dei dati di una fabbrica («2 mila terabyte al mese, l’equivalente di mezzo milione di film Netflix») per prendere decisioni.
Anche Fincantieri, dice il direttore Operations Claudio Cisilino, sta industrializzando i primi cinque progetti, in particolare nei processi ingegneristici al cuore del gruppo della cantieristica. «Le potenzialità dell’IA generativa sono enormi, può supportare l’uomo nell’adottare le scelte ottimali, anche se bisognerà trovare un bilanciamento tra benefici e costi. Sviluppare, manutenere e utilizzare un agente di IA costa molto, sia dal punto di vista delle persone che ci lavorano, sia per le risorse hardware ed energetiche richieste».
Dentro o fuori
L’altro dilemma strategico che le aziende hanno di fronte è l’architettura da dare a questa intelligenza. C’è a un estremo la possibilità di affidarsi ai prodotti già pronti di Big Tech, comodo ma meno sicuro per i dati perché significa appoggiarsi al loro cloud e rischiare di essere dipendenti. All’altro ci si può installare in casa la potenza di calcolo e farci girare dentro un’IA, magari sfruttando i modelli open source, soluzione che garantisce autonomia ma richiede grandi investimenti e competenze. «Tra questi estremi c’è un ventaglio di soluzioni intermedie, che ogni azienda sceglierà o combinerà sulla base delle proprie esigenze, come nel nostro caso quelle di sicurezza», dice Cisilino.
«In Leonardo ci concentriamo sul cosiddetto “multidominio”, che consente la comunicazione tra i diversi ambienti fisici o virtuali: terra, mare, spazio, aria e cyber, un ambito di attività in cui il digitale è l’elemento portante», dice Daniele Dragoni, a capo dell’HPC & Deep Digital Innovation Hub della società della Difesa, che già dal 2020 si è dotata di un’infrastruttura di supercalcolo, davinci-1. «Grazie all’IA e alle capacità di calcolo avanzate stiamo sviluppando modelli open source affinati attraverso dati proprietari che contribuiscono a rendere più efficienti i processi produttivi. Il gemello digitale, poi, permette di sperimentare, elaborare e testare modelli predittivi delle caratteristiche e del “comportamento” di un prodotto in progettazione, arrivando ad un realismo progressivamente più elevato».
Uomini e macchine
Oggi, riconosce Lio di Accenutre, l’approccio con cui molte imprese si avvicinano all’IA è quello più immediato dell’efficienza, del taglio dei costi, più che della reinvenzione di processi e prodotti. Ma è lì che si farà la vera differenza, e dove va ridefinito il rapporto tra lavoratori e strumenti, anche per evitare crisi di rigetto. «Il 40% delle ore oggi lavorate saranno impattate dall’IA – dice Lio – non significa sostituzione, ma che 9 milioni di lavoratori italiani dovranno essere riqualificati e imparare a lavorare in team ibridi composti da uomini e agenti digitali».
Se e come l’interazione possa essere produttiva, è tema dibattuto. Servono competenze, scarse in Italia. Un piano su cui il fossato tra Pmi e grandi imprese rischia di diventare un nuovo digital divide di competitività: solo il 17% delle prime forma i dipendenti sui temi Ict, contro il 67% delle seconde. «Per abbracciare le nuove tecnologie, come quelle legate all’IA, è necessario dotarsi di una visione di lungo periodo, investire in tecnologie proprietarie e competenze adeguate», dice Francesco Durante, Ceo di Sisal. «Integrare l’IA nel modello di business implica la costruzione di centri di competenza e infrastrutture digitali che migliorano il servizio al cliente e supportano i processi decisionali. Significa, inoltre, investire nelle persone, affrontando così la trasformazione digitale in modo sostenibile per favorire inclusività e crescita».
Le regole giuste
C’è infine un tema, dibattutissimo, su cui la politica sarà determinante: le regole. Lo sviluppo dell’IA in ambito industriale può sembrare meno problematico rispetto a quella che toccherà direttamente i cittadini-consumatori. Ma le norme su sicurezza e sovranità dei dati, se troppo stringenti, possono generare ulteriori costi e ostacoli per le imprese: «L’intenzione dell’Europa di definire regole chiare per il settore deve diventare un’opportunità rispetto allo sviluppo in atto negli Stati Uniti e in Cina», dice Cisilino.
Riproduzione: Repubblica.it
