Nato a Damasco 42 anni fa, sotto le bombe, in una famiglia con 9 fratelli, ha creato da solo la startup «It’s Prodigy». «Per pagarmi gli studi risparmiavo sul cibo: una pizza a settimana, uno spicchio al giorno»

Se nella conta i sogni realizzati superano di gran lunga i desideri ancora da esaudire, il merito è solo suo perché ha preso in mano la sua vita e l’ha cambiata radicalmente. L’altro giorno dissertava con esperti che si preparavano al Ces di Las Vegas, uno dei più ambiti palchi tech al mondo, ormai lanciato nell’Olimpo di chi fa tintinnare le casse sfruttando le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Ma 42 anni fa nasceva in Siria, nel cuore di una città flagellata dall’estrema miseria e dalle bombe della guerra, insieme ai suoi nove fratelli.

Sano Musab Hijazi, oggi «guru» dell’informatica, ha dovuto sfidare la sorte e tagliare i ponti con buona parte del proprio passato, per poter ricominciare. Riavvolge non senza emozione il nastro della storia. Ed è la prova vivente che anche partendo da meno di zero ce la si può fare, se la fortuna gira per il verso giusto e la caparbietà e lo spirito di sacrificio sono capaci di irrobustirsi invece che soccombere, di fronte all’indigenza e alla solitudine degli inizi. Così è capitato a lui.

Nato e cresciuto a Damasco, per qualche anno con la famiglia ha abitato in Arabia Saudita. Quando aveva 7 anni sono partiti per l’Italia: viaggio di una settimana stipati in auto e sono arrivati a Udine dove il suo nome, Musab, somigliava ad «asino» («mus», detto dai bambini in friulano). Per pagarsi gli studi ha svolto le mansioni più umili e quando ha deciso di andare a vivere da solo, senza un lavoro strutturato, pativa quasi la fame: «Compravo una pizza a settimana e ne mangiavo uno spicchio al giorno, per me era il lusso. Alla mia famiglia non chiedevo nulla. Piuttosto, da free lance creavo siti web e li vendevo a 50 o 80 euro. Ma soprattutto – ricorda – studiavo in continuazione». 

Nel 2014, a poco più di trent’anni, Sano lascia tutto: la famiglia, Udine, gli amici. Arriva a Milano deciso a dare corpo al suo sogno imprenditoriale, che per lui ha il sapore della speranza di una rivincita: investe tutti i suoi risparmi, 20 mila euro, e accende un finanziamento da 30 mila aggiuntivi. Così è partito questo ragazzo, tra mille difficoltà. Ora guarda le foto sparse sul tavolo: c’è lui con un sacchetto della spesa mezzo vuoto, «quel che potevo permettermi da mangiare». Le foto di oggi invece sono scintillanti: lui elegante tra grattacieli, fontane, uffici con vista spaziale sulle metropoli brulicanti del mondo. «Non è facile cucire insieme il prima e il dopo, mi pare di avere vissuto due vite diverse», riflette.

Lo statuto della sua It’s Prodigy se lo è scritto da solo («Non avevo soldi per pagare un commercialista»). Il capitale sociale era di un solo euro ma nei primi quattro anni la start up ha visto esplodere il suo fatturato a tripla cifra con sedi che si moltiplicavano: da Milano agli Emirati, dagli Usa all’Australia. «Chiudere accordi con un euro di capitale sociale non è semplice», sorride adesso, forte del suo team di sessanta giovani e agguerriti sviluppatori (uomini e donne) in ogni angolo del mondo. Senza il supporto di business angel o private equity, il giro d’affari è arrivato a sfiorare i 3 milioni di euro, la quotazione in borsa è una possibilità e si susseguono i premi internazionali (l’ultimo è il Premio America Innovazione come start up più innovativa d’Italia).

Il trucco di Sano? «Inventare soluzioni nuove per la vita e guardare avanti, mai indietro». Ormai nota è la sua piattaforma di business intelligence che raccoglie big data e li analizza con l’intelligenza artificiale per preparare in tempo zero report su strategie e risultati. Ma anche la «visura digitale» che mappa il grado di digitalizzazione delle imprese. E ancora il progetto basato sull’utilizzo di droni e sensori per gestire le cave di marmo. Dall’altra parte del mondo, lui è orgoglioso: «Considero i clienti persone che hanno bisogni più importanti dei miei…».

Riproduzione Corriere della Sera

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