Più di 53 miliardi di video con hashtag #Shein visualizzati su TikTok; centinaia di migliaia di nuovi prodotti di moda caricati ogni anno sul sito e 261 milioni di consumatori attesi nel 2025 secondo il Financial Times. Oltre a una valutazione che si aggirerebbe sui 100 miliardi di dollari (fonte: Bloomberg).

Il fenomeno Shein, azienda fondata da Chris Xu nel 2012 e oggi è tra le app di shopping più scaricata in Europa e Usa, nel corso dell’ultimo decennio è esploso entrando a gamba tesa in un segmento, quello del fast fashion, dominato da pochi big e alle prese con cambiamenti epocali. Tra cui la gestione di un modello di business fondato sul consumismo in un mondo sempre più orientato alla sostenibilità. Un problema che anche Shein sta provando ad affrontare, come spiega Peter Pernot-Day, global head of strategy and corporate affairs.

Secondo Chris Xu la missione dell’azienda è rendere la bellezza accessibile a tutti. Esperti di marketing invece hanno definito il vostro modello di business «fast fashion sotto steroidi». Mi spiega come funziona concretamente?

Il modello è basato su quello che chiamiamo “manifattura on demand”. Noi creiamo un design ne produciamo fino a 200 esemplari in tutto il mondo. Poi lo mettiamo online e vediamo se e quanti consumatori acquistano il capo. Lo produciamo in base alla domanda, altrimenti mettiamo quei pochi esemplari in saldo e non lo riproponiamo. Così tagliamo gli “scarti”, non dovendo indovinare cosa vorranno i consumatori.

Quanti prodotti lanciate?

Aggiungiamo dai 3mila ai 6mila prodotti ogni giorno su scala globale e abbiamo tra i 600mila e i 650mila prodotti in vendita sul nostro sito. Però, come già detto, di ogni pezzo esistono di base 100-200 esemplari.

Quante persone lavorano nei vostri uffici stile per produrre tutti questi capi?

Abbiamo nel complesso 10mila dipendenti in 30 Paesi, ma non forniamo i numeri precisi di quanti lavorano nella creatività. Però abbiamo programmi come il Shein X che supporta i designer emergenti e oggi coinvolge 3mila creativi in tutto il mondo: noi testiamo i loro prodotti, cerchiamo di capire se si possono produrre, e se è possibile li mettiamo sul nostro sito. Loro mantengono i diritti di proprietà intellettuale sul design.

Come fate a tenere i prezzi così bassi?

Gran parte dei costi connessi alla produzione è legata agli scarti, all’invenduto. Che non abbiamo. E poi non abbiamo negozi fisici o centri di distribuzione con staff, solo pop up store il più recente dei quali è stato aperto a Torino. Così possiamo traslare i risparmi sui clienti finali.

Mettiamo che un prodotto abbia un successo immediato. Come è organizzata la produzione e in quanto tempo avviene? L’abbigliamento “on demand” è di solito su misura e implica un’attesa lunga..

Abbiamo una supply chain digitalizzata attraverso un sistema di gestione cui sono collegati i fornitori: quando vedono la domanda del prodotto in salita, ci forniscono la loro disponibilità a produrre, ognuno secondo la propria “capienza”. Così velocizziamo il processo. Però non abbiamo tempi di consegna standard: dipendono dal prodotto e dal design.

I façonisti giocano un ruolo chiave: dove sono e quanti sono?

Sono circa 3mila supplier diretti e la maggioranza si trova in Cina, nella provincia del Guangdong. Stiamo lavorando a una strategia di “localizzazione”: vogliamo costruire connessioni con i mercati in cui lavoriamo,anche per velocizzare le consegne. Attualmente abbiamo fornitori in Turchia, che servono il mercato Ue, e in Brasile. Tra aprile e maggio apriremo un magazzino in Polonia sempre per servire alcuni Paesi europei tra cui l’Italia. Abbiamo team in Germania e Francia e sicuramente espanderemo le nostre operations nell’Ue.

La sostenibilità è stata fino a oggi il principale problema di Shein. Pensa che i consumatori siano interessati al prezzo e non a questo tema?

Un nucleo molto forte di nostri consumatori tiene senza dubbio al prezzo, ma un altro nucleo alla sostenibilità. E riducendo gli sprechi in modo drastico ritengo che Shein sia un esempio di fast fashion sostenibile.

Il vostro Sustainability report 2021 però evidenzia come, su 700 fornitori sottoposti ad audit, solo il 17% abbia raggiunto un livello di performance da moderata a ottima. Cosa avete fatto per ovviare a questo problema?

Abbiamo aumentato gli audit effettuati da terze parti, salendo a 2.800: abbiamo trovato fornitori che rispettano il codice di condotta che sono obbligati a firmare e altri che non lo fanno, ma tra fine aprile e maggio pubblicheremo i risultati dettagliati nel Sustainability report 2022.

Cosa succede quando trovate un fornitore che non rispetta le regole?

Dipende dalla gravità della violazione. Il primo step è incoraggiare il fornitore a rimediare e poi fare un secondo audit. Se il problema rimane terminiamo il contratto. L’obiettivo è educare le aziende, anche perché noi investiamo molto nella nostra supply chain.

Un report di Greenpeace pubblicato a fine 2022 ha evidenziato concentrazioni di elementi chimici pericolose e illegali in Ue nel 15% dei capi analizzati. Siete consapevoli dell’indagine e che misure avete preso a seguito dei risultati?

Sapevo dell’esistenza del report e presumo che siano state prese delle misure appropriate, ma non so quali nel dettaglio. I nostri consumatori sono la nostra prima priorità e vogliamo dare loro capi sicuri dal punto di vista sanitario. Richiediamo ai nostri fornitori di rispettare standard globali tra cui quelli europei e californiani e abbiamo condotto oltre 300mila test con agenzie terze. Se un prodotto mostra concentrazioni pericolose lo togliamo dal mercato e facciamo un supplemento d’indagine sul fornitore.

Chi sono i vostri consumatori?

Il core sono ragazze tra i 18 e i 24 anni, ma stiamo rilevando una crescita di acquisti da parte di un target di donne più adulte e di uomini. A ottobre negli Usa uno dei best seller è stato un costume da Halloween per cani.

Quali sono i vostri mercati di riferimento?

Il primo per fatturato sono gli Usa, al secondo posto l’Ue con Francia e Germania in testa. L’Italia è un mercato importante, in espansione.

Perché aprire i pop up store?

Per noi è un modo per “connetterci” con i consumatori e ampliare la nostra customer base. Al momento non abbiamo piani di aperture di negozi fisici ma siamo un’azienda giovane e non lo posso escludere.

Fonte: Il Sole 24 Ore, di Marta Casadei, 31 marzo 2023, https://www.ilsole24ore.com/art/shein-aumenta-controlli-la-sostenibilita-e-rilocalizza-parte-produzione-AEZd0WAD

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