Si chiama Inspire, ha ricevuto 2,5 milioni di euro di finanziamenti ed è nata con l’idea di aiutare i vigili del Fuoco: “Umani e macchine lavoreranno insieme, rendendo le operazioni più efficaci e meno pericolose”
Come funziona l’idea di Inspire
Lo scopo di tutto è “assicurare la continuità di servizio”, come ci ha spiegato Alberto Clavarino, che in Inspire è responsabile della parte commerciale e dei rapporti con i partner, quando abbiamo incontrato lui e altri componenti del management della startup: “Il problema dei droni è la batteria, che dura circa 30 minuti e poi dev’essere ricaricata – ci ha ricordato – Questi strumenti vengono già usati dai vigili del Fuoco e dalla Protezione Civile in vari scenari, ma tutto viene fatto a mano, comprese la ricarica, la decisione su dove sorvolare e cosa fare. Noi vorremmo dare un approccio più scientifico ”. Insomma: l’idea che sta alla base della startup non è il drone in sé o l’uso del drone per fare questa cosa, l’idea è rendere il drone utilizzabile in questi scenari. Da qui è venuto fuori il concetto di quella che Ghio ha definito “una specie di portaerei per droni”, che è un po’ il cuore di quello che fa Inspire: “È una piattaforma, che può essere posizionata a terra o trasportata su un pick-up, resistente agli agenti atmosferici, che pesa circa 400 kg, è alimentata da un gruppo elettrogeno da 5 KW e al cui interno stanno un braccio robotico e gli alloggiamenti per batterie”. A che serve? “Funziona da base di decollo, atterraggio e ricarica per i droni, che tornano lì quando stanno per finire l’autonomia, si posano, ricevono un’altra batteria e ripartono per fare quello che stavano facendo”.
In questa fase sarebbe però più corretto declinare i verbi al futuro, perché a oggi i droni non possono volare da soli: “La legge ancora non lo consente e richiede che ci sia sempre un operatore umano – ci ha confermato Clavarino – Ma la tecnologia permette loro già adesso di muoversi in autonomia e non è improbabile che in futuro queste regole vengano ammorbidite, spariscano o anche siano sospese in situazioni di emergenza, come in occasioni di grandi incendi, eruzioni vulcaniche oppure di attività in aree oggetto di evacuazione”. Che facciano da tutto da soli o che lavorino insieme con una persona, i droni saranno comunque dotati di una sorta di intelligenza artificiale, come ci ha spiegato Mauro Gaggero del CNR: “Sono equipaggiati di GPS per la geolocalizzazione e Inspire ha sviluppato un soflware, usando algoritmi statistici,, machine learning e studi sugli incendi pregressi, che stima come potrebbe evolvere il fronte del fuoco a secondo di quello che il drone vede, suggerisce quali punti controllare e che cosa fare, avverte se ci sono centri abitati e a quale distanza, fornisce consigli su dove usare l’acqua e così via”. L’idea è quella di umani e macchine che lavorano insieme, con i primi che si fanno aiutare dalle seconde e anche riducono l’esposizione a eventuali rischi.
Quando li vedremo davvero in azione?
Non è tutto, perché la soluzione di Inspire potrebbe essere usata anche per altro, oltre che per il monitoraggio e lo spegnimento degli incendi: “In caso di sversamento di liquidi, per vari tipi di sorveglianza, per uso agricolo” e probabilmente anche per scopi militari, come ci ha fatto notare la professoressa Patrizia Bagnerini, che a Genova insegna Analisi numerica. Ma quando si vedrà tutto questo? “Un pick-up configurato con la piattaforma di Inspire già c’è e a breve dovrebbe partire la sperimentazione, magari con i cosiddetti abbruciamenti controllati, mentre lo sviluppo del soflware è partito ora ed è un progetto triennale sostenuto da finanziamenti pubblici – ci ha chiarito Bagnerini – Inoltre, Inspire è in contatto con Aris,, azienda di Torino che dà oltre 50 anni fornisce strumenti e veicoli ai vigili del Fuoco e al ministero della Difesa, e anche con il ministero dello Sviluppo e con il ministero dell’Interno, e ci sono sembrati tutti entusiasti”.
Insomma, non dovrebbe mancare molto a quando vedremo sciami di droni volare e spegnere incendi da soli, ma quelli di Inspire sembrano già guardare oltre: “Stiamo ragionando sulla possibilità di farci un nostro drone che abbia maggiore capacità di carico, sino a 500 kg per poter trasportare più videocamere, sensori di fumo o per rilevare inquinanti, telecamere infrarossi e ovviamente l’acqua – ci ha anticipato Ghio – e a come farli atterrare e decollare mentre la piattaforma (il pick-up, ndr) è in movimento, dando loro totale autonomia dall’uomo”. Ci sono un po’ di ostacoli: “Perché tutto funzioni serve capire, nelle varie zone, dove trovare l’’acqua, come i droni possano rifornirsi e ricaricarsi, servono forse nuovi brevetti ed è necessario firmare contratti e superare la burocrazia”. Che spesso in Italia si rivela purtroppo la nemica numero uno dell’innovazione.
Riproduzione: La Repubblica