Nel rullo continuo di notizie sugli sbarchi, i rimpatri, gli scafisti e le ong da contrastare, si ha la sensazione che in questi ultimi anni, purtroppo, si sia un po’ perso il racconto dell’“opportunità” rappresentata dalla migrazione, quella che riesce a trasformarsi in una risorsa e che riguarda 5 milioni di persone.
È la storia, per esempio, di Mattia El Aouak, nato a Fès, bella ma non abbastanza attraente e ricca da trattenere il padre Mohamed che negli anni Settanta emigra in Italia come turista e ci resta lavorando come venditore ambulante di abbigliamento.
Mattia con la mamma e i suoi fratelli, lo raggiunge solo dopo 15 anni dopo, negli anni Novanta, grazie al ricongiungimento familiare. Lui ha tre anni: “Ero troppo piccolo per ricordarlo”, racconta Mattia, “ma so che nel 1997 siamo arrivati con un volo diretto, Casablanca Roma.”
È negli anni ‘90, con la legge Martelli, che maturano leggi sull’immigrazione come un fenomeno più stabile, e iniziano i ricongiungimenti familiari, come quella di Mattia, famiglie prima divise da una burocrazia micidiale. L’arrivo delle madri e dei bambini che incontrano un mondo nuovo da conoscere e decifrare. Gli anni ‘90 sono quelli dei sogni che si avverano per molte famiglie di immigrati finalmente riunite.
Mattia aveva soli 3 anni quando arrivò in Italia in braccio alla mamma Marya. Una vita davanti, tutta da costruire. Dai vicoli incantati di Fès a una piccola frazione di pochi abitanti, Papiano, nel comune di Marsciano, è un bello strappo.
Lui, come tanti figli di immigrati non ha scelto di emigrare eppure si troverà addosso questa etichetta. È una seconda generazione che, però, grazie alla migrazione dei genitori, ma alla propria caparbietà, resilienza e ingegno è riuscita ad entrare in quella quota denominata “risorsa” dell’immigrazione, riuscendo a fare anche impresa ma che trova ancora poco spazio nel racconto.
“Sin da piccolo volevo sempre avere una cosa mia. Ho sempre sentito che era un’esigenza importante”, racconta. Oggi Mattia è un imprenditore affermato di 31 anni, ed è la mente di ParkingMyCar, una startup umbra dei parcheggi che non solo si è espansa nel territorio italiano ma sta proseguendo anche all’estero. È stata scelta tra le 10mila imprese in tutto il mondo e premiata tra le migliori 50 emergenti.
Ma per arrivare fin qui, Mattia El Aouak, anche se giovanissimo, ne ha fatta di strada. Si è distinto da subito come abile venditore, e a soli 19 anni è diventato responsabile di filiale di un’agenzia di intermediazione di servizi che aveva a che fare con importanti aziende di telecomunicazioni nazionali. Pochi anni dopo, ed è lui a diventare capo di un’agenzia di intermediazione tutta sua con collaboratori al seguito.
La sua storia segue con la nascita di ParkingMyCar: «È nato tutto da un viaggio. Ero in macchina e da Perugia dovevo arrivare in aeroporto a Roma. Ciò significava trovare un parcheggio in tempi utili anche per non perdere il volo. In quegli istanti, nella difficoltà di trovare online una piattaforma efficace nel rispondere alla mia esigenza, è nata la mia curiosità di capire come funzionava il mercato dei parcheggi. E per tutto il volo in aereo non ho fatto altro che pensare a inventare qualcosa per rispondere al meglio a quella domanda».
Il parcheggio diventa un pensiero fisso di El Aouak che si trasferisce anche per un periodo a Bologna per studiare nel dettaglio quel mondo. Studia i parcheggi degli aeroporti, fa ricerche di mercato e fonda nel 2018 la sua azienda. C’è però la parentesi della pandemia, che per lui non è un ostacolo, anzi. “È proprio nella pausa del Covid che ho fatto i maggiori investimenti per migliorare la piattaforma on line di parcheggi che avevo in mente con un professionista, facendo una mappatura di tutti gli aeroporti, perché i due competitor presenti sul mercato erano deboli.”
L’idea di El Aouak è così potente che ha margini di crescita anche a livello internazionale, e così si rende conto di non potercela fare da solo. Inizia ad entrare in start up, riuscendo ad attirare investitori, che arrivano a fine 2020. Da cinque risorse nell’azienda oggi sono in 30 sotto la guida di quello che qualche anno fa era solo un bambino arrivato nelle braccia della mamma Marya da Fès. Il 2022 si è chiuso con una crescita del 2.000%, il 2023 con un raddoppio del fatturato di 3milioni di euro. “Per il 2024 siamo già avviati per aprire le nostre sedi in Europa – Spiega El Aouak – la mia voglia di riscatto mi ha portato fin qui e spero e credo mi potrà portare ancora lontano.”
Ma riscatto da cosa?, chiedo a Mattia. “Riscatto dall’immagine ormai prestabilita dell’immigrato, o del figlio dell’immigrato che sembra non possa essere altro dall’operaio. È un qualcosa che si sente a pelle dagli sguardi. Io sin da piccolo volevo dimostrare che si sbagliavano. Volevo creare qualcosa di mio. Dimostrare che anche se ero figlio di un immigrato, potevo fare cose grandi.”
Oggi si può dire che un passo importante lo hai fatto, chiedo a Mattia: ma mi togli una curiosità? il nome “Mattia” non è un nome arabo, eppure i tuoi genitori sono tutti e due marocchini…
“Sì è vero”, risponde. Una breve pausa, e poi la voce di Mattia, con accento perugino inequivocabile, si trasforma e si traduce in lingua araba: Hai ragione Karima, il mio vero nome è Yassin.” E perchè ti fai chiamare Mattia?, gli chiedo. “È un gioco che facevamo io e i miei amici marocchini fin da bambini”, racconta, “per farci accettare dagli altri bambini italiani. Evitavamo di dire i nostri veri nomi un po’ per non farci escludere. Ma poi, mi è servito anche da venditore. Firmarsi, o presentarsi come Mattia, e non come Yassin El Aouak, era tutt’altra cosa. È triste dirlo ma è la realtà. È tutta una questione di fiducia, empatia, vicinanza. Al telefono, via mail, in un incontro ravvicinato con il mio italiano con accento umbro, non c’è mai stata distanza e molti ancora oggi pensano che sono Mattia, che sono italiano. Che poi alla fine, italiano, lo sono anche”.
Silenzio. Certo, è un finale che uno non si aspetta perché un po’ confonde, ma nella realtà forse chiarisce ancora meglio la complessità della storia dell’immigrazione nel nostro Paese, e insieme la fatica dell’integrazione, più semplice senza etichette e gabbie, più complessa se identificata. Con il nome Yassin, molto probabilmente Mattia avrebbe speso troppo tempo per arrivare. Tempo che giustamente, con quella fame di riscatto, non aveva da perdere, perché a ragione, alla fine oggi molto orgogliosamente si può presentare come Yassin El Aouak, il giovane imprenditore che alza la bandiera italiana nel mondo, che dà un’occupazione ad almeno 30 lavoratori italiani.
Sì, proprio Yassin, il figlio di quell’immigrato marocchino di nome Mohamed, arrivato da Fès; e chissà quante volte nei mercati, qualcuno lo avrà chiamato: Ue’ Africa, ecco il vu cumpra. Ecco, Yassin, pur orgogliosissimo del papà, non aveva alcuna voglia di entrare in quella gabbia, e si è mangiato il tempo per abbatterla con un semplice nome. Un gioco da bambini.
Riproduzione La Repubblica