Nonostante l’assenza di una vera e propria definizione normativa di welfare aziendale dal punto di vista giuslavoristico, in Italia lo strumento continua ad attestarsi come uno degli elementi più rilevanti nel mondo del lavoro, sebbene permangano ancora alcune aree di incertezza che rendono necessario uno sforzo ulteriore, da parte del legislatore, per l’introduzione di disposizioni normative specifiche.
A rivelarlo è una ricerca di HR Capital – società consociata di De Luca & Partners e leader nei servizi per la gestione e per l’amministrazione del personale in outsourcing – sulla diffusione e l’utilizzo del welfare aziendale da parte delle aziende italiane.
In un contesto generale che vede il welfare aziendale sostanzialmente regolamentato dalla dottrina fiscale e identificato come un insieme di beni e servizi forniti dalle imprese ai dipendenti per migliorarne la vita privata e lavorativa, lo studio di HR Capital evidenzia che – tra le aziende assistite – il 25% delle realtà che hanno sviluppato una politica di welfare aziendale ottimale – con l’introduzione, ad esempio, di sostegni diretti alle famiglie, alla conciliazione vita-lavoro, alla formazione, all’aggiornamento professionale e alla previdenza – è rappresentato da imprese strutturate di grandi dimensioni.
Il restante 75% del campione, invece, raccoglie piccole-medie imprese che si trovano a dover ancora stabilire delle policy adeguate o che non introducono politiche di sostegno perché frenate dai possibili costi aggiuntivi a carico e dalla scarsa conoscenza degli strumenti di welfare a disposizione, limitando di conseguenza il loro intervento all’attivazione di prodotti o servizi più flessibili o di impatto più immediato, come possono esserlo i buoni pasto o i buoni benzina.
“Il quadro che emerge dalla ricerca di HR Capital sottolinea come la materia del welfare aziendale presenti ancora diversi aspetti da dirimere”, sottolinea Leonardo Zaffiri, Amministratore Delegato di HR Capital. “In primis, una definizione giuridica certa e assodata, che tuttora manca: se, da un lato, ci si appella esclusivamente agli aspetti fiscali per identificare il welfare aziendale, la sua accezione comune è – in realtà – molto più ampia e omnicomprensiva, andando a comprendere iniziative e servizi non monetari per supportare e soddisfare le esigenze personali e sociali dei lavoratori, sviluppando il loro benessere nei campi più vari, dall’assistenza sanitaria alla cura dei figli, dall’accesso al credito al tempo libero”.
Se la definizione giuslavoristica rappresenta un punto centrale nel progressivo sviluppo dello strumento del welfare aziendale, anche la sua diffusione – resa ancora più ampia dopo il momento pandemico – apre a scenari in via di identificazione, secondo Leonardo Zaffiri: “In più occasioni il Legislatore è intervenuto, ma principalmente incentivando il binomio welfare aziendale-premi di risultato, introducendo misure volte ad agevolare i datori di lavoro con benefici di natura fiscale e contributiva. Tuttavia, in termini strutturali, si rende necessario ancora uno sforzo per promuovere disposizioni normative specifiche sia riguardanti la sfera economica – ad esempio, istituendo un sistema di agevolazioni a supporto delle scelte dei datori di lavoro – sia per incentivare lo sviluppo di programmi di welfare aziendale più efficaci, flessibili e sostenibili, come la digitalizzazione dei sistemi di gestione delle piattaforme di welfare”.